Fortuna sfacciata
Disperata la caccia al biglietto vincente. La tabaccheria è nota, ma il compratore è sconosciuto. I clienti sono presi da una insensata felicità, brindano perché la fortuna è passata accanto a loro, sono felici come uno che si sazia a guardare gli altri mangiare. Perché la fama sazia anche la fame. La notorietà è una gioia infinita, anche se di riflesso. E a stazionare lì si rischia anche una bella intervista delle tv nazionali e locali che chiedono astute: <Ma lei ha un’idea di chi ha vinto i 500mila euro?>. L’abilità della risposta consiste nel negare con forza lasciando tuttavia un sottinteso spiraglio sul fatto che invece forse.. ma non lo direi mai a voi. Il più felice di tutti è il proprietario, offre da bere un paio di bottiglie di spumante nazionale, e fa preparare al figlio il cartello gigante con la scritta: <Qui sono stati vinti 500mila euro>, dimenticando che facendo così espone un avviso perché nessuno acquisti altri biglietti: un po’ come i soldati che si riparano nelle buche scavate dai colpi di cannone, sicuri che lì un altro colpo non cadrà. Ma la vanità è vanità, anche se riflessa. Intanto la tesi più accreditata è che sia stato uno di passaggio a far propria la vincita.
Questa volta la tesi non regge alla prova dei fatti, sebbene questi siano sconosciuti ai più, anzi a tutti tranne uno.
L’unico a sapere come stanno le cose è Mario Anderlini, custode del cimitero, 47anni, sposato con due figli, Mara di 25 e Luigi di 22. Oltre possedere il biglietto in questione, Mario ha anche una teoria filosofica, almeno lui la considera tale. In 25 anni di lavoro al cimitero ha un suo disegno dell’esistenza, che si sintetizza nell’apparente banale concetto secondo il quale <quando sei morto sei morto>. Una tautologia esistenziale alla quale il custode è approdato seguendo il comportamento dei sopravvissuti.
All’inizio portano fiori e piangono, poi portano fiori e non piangono, quindi portano fiori e chiacchierano di altro con altri sopravvissuti, poi non portano più niente nemmeno se stessi. Per quanto tu possa fare, per quanto tu possa lasciare di buono, sei destinato a evaporare, a decomporti nella memoria dei sopravvissuti. E allora, prima regola, pensare a se stessi. Potrebbe comprare una bella casa, ma non certo grande come quella che spetta al custode del cimitero, a meno di non finire quasi tutti i soldi. D’altra parte finché sarà lì nessuno gli toccherà la casa di servizio. Ed è inutile dire che questa sarebbe l’aspirazione della moglie che in fondo non ha mai gradito vivere accanto ai fuochi fatui. La figlia, strafidanzata, ha già chiesto un aiuto per comprare un appartamentino così da potersi sposare in tranquillità. Il figlio, piuttosto bravo all’università, vorrebbe fare un anno negli Usa in una di quelle università dove ti spellano vivo da quanto costano. Potrebbe fare tutte queste cose insieme, ma a lui che cosa mai resterebbe? La soddisfazione di …? Non gli basta, la fortuna è stata sua e la vuole quasi tutta per sé. Non è l’egoismo, lui pensa, ma la certezza che non ci sia un secondo giro, la paura di non sapere mai che cosa ci possa essere dietro l’angolo della quotidianità. E crede che il denaro possa essere almeno una chiave, un grimaldello per accedere a verità sconosciute.
Non è che non ami la famiglia, i figli più della moglie, ma ha l’ansia dell’età, il tempo dei bilanci, vede tante uscite e poche entrate nella sua vita, e anche pochi investimenti. Vorrebbe investire un po’ sulla pazzia, su qualcosa di assolutamente sconveniente e socialmente criticabile. Terrà i soldi, tutti in titoli di Stato in una banca di un paese vicino, o magari in città. Aspetterà, aspetterà di capire come la fortuna possa trasformarsi in felicità.