La voce di Rosa
23 agosto a Corleone, Animosa Civitas Corleonis in collaborazione con Sciacca Film Fest. Sezione Corti, una proiezione da leccarsi gli occhi.
Protagonista Rosa Balistreri, il trionfo della voce sporca su tanto bel canto – niente virtuosismi, solo potenza e contenuti.
Un corto che ripercorre la sua vita, le sue amicizie, il suo successo. Riassumerne la bellezza é impossibile, tentare di evocarla, forse.
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Infame terra di gente infame e traditrice è la Sicilia, che incarcerò l’innocente come ladra, e non perché avesse rubato di sua volontà, ma perché nei guai e pregna, Rosa si venne a trovare.
La fame no che non la puoi fermare, non è fiamma di fuoco che gli butti di sopra un “cato” d’acqua; il sonno ferma i debiti e le cambiali, ma la fame morde le budella a strazzi: vuole un pezzo di pane, pure che è duro.
Così fu che Rosa di carcere se ne andò a fare sei mesi, che per lei fu colpa il figlio ingannatore del padrone dove era finita a fare i servizi da cameriera: lui la vide in vestaglietta calata che puliva sotto il letto e gli venne il prurito dei cinque minuti. E in cinque minuti sì che fece danno, la mise incinta e ora chi se lo accolla?
“Te lo dico io – le disse lui – si può rubare, ruba i soldi a mio padre dal cassettone che ce l’ha pieno pieno. Li dividiamo un poco io e un poco tu, che tu ci campi la tua creatura dopo che nasce”.
Lei femmina cretina lo volle fare, perché a volte i soldi sanno aggiustare le situazioni: lui le fece rubare i soldi dal cassettone, e lei finì in carcere a pane duro.
Uscita dalla cella, Rosa andò a fare la sagrestana per un prete buono che le mise a disposizione un sottoscala dove dormire, a lei e pure al fratello storto che aggiustava le scarpe per arrotondare. Solo che poi il prete buono ebbe il trasferimento, e arrivò un prete nuovo che pareva onesto e troppo caro; presto Rosa scoprì che con le mani armeggiava quando si trovò con la mano benedicente messa di sopra. Allora disse: “Io da qui me ne devo andare, questa è terra dove i primi infami sono i parrini”, disse così mentre si pigliava i soldi della carità, che si prese per pagarsi il biglietto alla stazione.
Pure che rubò i soldi non andò in prigione, perché ogni tanto il Signore si mette dalla parte degli innocenti, e gli coprì gli occhi a quelli con la vista lunga e gli coprì la bocca a quelli con la pancia lenta.
A Firenze lei e suo fratello arrivarono di prima mattina, e fu lì che Rosa cominciò a cantare per carriera, incise dischi, pure teatro fece, diventò amica di compagni acculturati: Ignazio Buttitta e Dario Fo e Renato Guttuso, perché Rosa aveva una gran voce, una voce sporca e pure brutta, però adatta per gridare che: in Sicilia ogni ficodindia da cartolina è infamità, e ogni radice di ficodindia è tradimento.
Ad ogni uomo che le tolse un poco di vita dedicò di cuore questa canzone:
“Buttana ri to matri ‘n galera sugnu
Senza fari un millesimu ri danni!”
E al paese di Sicilia infame Rosa ci tornò, che lei la sua Sicilia non se la tolse mai dalla bile, perché pure che sei lontana mille miglia e passa, la Sicilia è terra che non te la puoi scordare, perché tutti i siciliani di dentro hanno due Sicilie, quella così com’è e quella come dovrebbe essere.