Ragazzo, prendi a schiaffi…Il Maestro e Margherita
Un ragazzo che ho seguito per tre anni di ripetizioni pomeridiane un giorno mi ha chiesto di consigliargli qualche libro che gli sarebbe potuto piacere. L’ho preso come atto di fiducia ed ho deciso di dedicare un articolo ad ogni suggerimento che mi verrà in mente. L’invito implicito è quello a leggere i libri in completa libertà, un po’ come teorizza Pennac, sentendosi alla pari dell’autore, prendendo per il didietro le trovate mal riuscite e le tirate più noiose, permettendosi di criticarlo, di dire non mi piace -in seguito alla lettura, ovvio- facendo paragoni azzardosi, iniziando un percorso del tutto personale con i libri. Prendere a schiaffi i libri: prenderli di pancia, ingoiarli, non accoglierli soltanto come prodotto ad uso scolastico.
Proporrò di seguito il mio personale approccio ad un libro che è forse fra i più allucinati che io abbia mai letto. Se non altro per l’assoluta assurdità della storia trovata in quello che pensavo essere un classicone accademico e palloso. E’ questo, il bello del prendersi una certa libertà con i libri, di lasciarsi stupire.
Ragazzo, leggi “Il Maestro e Margherita”, perché sono 450 pagine e tutti lo spacciano per un classico ma è un vero e proprio trip e, qualsiasi sensibilità tu abbia, troverai una linea di lettura che in quel momento fa per te. Leggitelo perché poco tempo fa ho rivisto la mia ex prof di Italiano che mi ha detto che suo padre, comunistoide, l’aveva appena chiamata a casa per urlarle il suo entusiasmo in seguito a questa lettura e lei, che non ricordava nel particolare la trama, ha chiesto a me perché suo padre potesse aver amato così tanto un libro che contiene una storia nella storia che racconta di Gesù e Ponzio Pilato. Io ho sorriso perché mi ricordo bene che libro è e quanto non sia un libro da bigotti religiosi. Leggilo, non farti bloccare da Gesù né da Ponzio Pilato, fidati: è tutt’altro che un trattato di teologia, è negazione di se stesso e messa in dubbio di tutto.
Pensa che ogni tanto salta fuori un micio inquietante ed un diavolo -sì, il diavolo a Mosca!- che mette in scena spettacoli da prestigiatore con comparse di soldi ed abiti, per poi passare a crimini inspiegabili. Leggilo perché a tratti sembra una storia completamente assurda e so quanto le storie assurde ti possano piacere, con il tuo gusto particolare per il surreale ed il nonsense. Guardati il teatrino di questo diavolo che va a Mosca dove tutti se ne vanno in giro tranquilli e paciosi negando la sua esistenza e quella di Gesù, leggiti il rocambolesco susseguirsi di follie che mette su quasi per ripicca. Poi lo vedrai, dopo un po’, come ‘sto diavolaccio riesce a svegliare l’orrore e addirittura la sorpresa in una società completamente morta. Magari servirebbe l’arrivo di un diavolo anche a noi che non ci crediamo più: ci pensi? Però lo sai come finiscono lì, i personaggi che entrano in contatto con questo gruppo di individui bizzarri? Finiscono nei manicomi, come accade a Ivan e al Maestro, o si danno alla stregoneria, come fa la bella Margherita, o vengono a sapere come finirà la loro vita, come quell’anima dannata di Berlioz, che non sto a dirti come va a finire perché tanto lo scoprirai tu nelle primissime pagine del romanzo, che saranno poi le pagine che ti ci incolleranno fino a che non lo avrai finito.
Leggiti “Il Maestro e Margherita” perché ci troverai di tutto: presente e passato, interrogativi spirituali, bizzarre avventure, sottile ironia della società stalinista, storie d’amore -come quella tra il Maestro e Margherita- e di violenze. Violenze narrate in modo secco e quasi ironico, come quella di Benemoth, il gattone parlante che durante uno spettacolo strappa la testa del presentatore, quella che riunisce nella sabba demoniaca alla corte di Woland i peggiori assassini mai vissuti, ricordiamo “il falsario convinto, traditore della patria, più che discreto alchimista” che “si rese celebre per aver avvelenato l’amante del re”, o il “ragazzotto ventenne” che “si era distinto fin dall’infanzia per certe sue strane qualità”, che “era sognatore ed originale” e che, quando una ragazza si innamorò di lui, “la vendette ad un bordello…”. Risate infernali risuonano continuamente nella festa di Woland, “urla furiose coperte dal suono dei piatti dorati dell’orchestra”.
C’è un’atmosfera quasi da circo, vero? È buffo, per un classicone della letteratura, no? Eppure stanno lì: il rimbombare dei tamburi, il volo di megere nude, gli inchini di grotteschi gentiluomini dal passato criminale, lo scrosciare del vino nelle coppe. Il Maestro e Margherita si muovono e prendono vita fra le pagine, ma il personaggio che rimane più impresso è senza dubbio Woland, che si muove nelle ombre in una città che non crede alla sua esistenza, creando fantastiche illusioni e ripugnanti orrori. Woland che rifugge in ogni modo la pietà, che “talvolta si insinua, del tutto attesa e insidiosa, nelle fessure più anguste”, Woland che chiede “cosa sarebbe del Bene se non esistesse il Male, come apparirebbe la terra, se non ci fossero le ombre” che provengono dagli uomini e dalle cose. Che afferma che “qualcosa di poco buono si nasconde negli uomini che evitano il vino, il gioco, la compagnia di donne affascinanti, la conversazione conviviale”, giacché secondo lui “questi uomini o sono gravemente malati, o odiano segretamente il prossimo”.
Non sto a dirti come finisce la vicenda, tu leggilo e pensa alla repressione descritta -vedrai repressione di cosa-, leggi e pensa alla Libertà del male che è probabilmente molto meglio del bene obbligato, come dicevano in Arancia Meccanica. Finisci di leggere e dimmi poi se non rimpiangi anche tu gli scherzetti, a volte piacevoli, a volte orribili, dell’incantatore Woland.
P.S. Quando leggi di Gesù-Jeshua e di Ponzio Pilato, dimmi se dopo cinque anni dalle suore non fa anche bene sondare in maniera assolutamente laica cosa poteva esserci a livello umano in quell’omaccio che ci raccontano abbia dovuto scegliere fra Gesù e Barabba e via discorrendo.