Griot in the city
“Bluesette” è un trequarti cantabile assai
che si può fischiettare ovunque
e perfino accennare in un passo di danza
mentre si scansano i passanti sul marciapiede.
Mi fa l’anima volatile e il piede alato
mercuriale il suo miscuglio
ancestrale come una ninnananna metropolitana
la cantilena delicata e ipnotica
del suo saliscendi al pentagramma.
Tra i boulevard e le avenue in zigzag avventurosi
una musette nelle grandi città del nord Europa
è la fisa del musico all’angolo che t’immalinconisce
mentre gli operai dai caschi gialli bestemmiano
in due palmi d’acqua nella buca della metro.
Bluesette è una specie di piccolo magone
che ti prende in pieno centro e ti viene da guardare
proprio con lo sguardo di quello con l’armonica a bocca
che raccoglie le mani come per dirti meglio
tutte le cose che nessuno ascolta.
E sopra quelle mani gli occhi ti parlano
per soffiarti il suono che ha deciso di fare filtrare
nelle tue orecchie stupide di cittadino frettoloso.
“Piccola Bluesette”, canta quel tipo dall’aria rapita.
E ancora non sei sicuro se sta fingendo di piangere
oppure se mentre soffia dentro quei buchi
fa lo sforzo di chi ricorda qualcosa di suo.
Nella sua voce vi sono così tanti armonici che anche quando parla, anche quando non canta, gli si può ascoltare il fruscìo sotterraneo di un mondo di muchi, e catarri, un lavorìo di bronchi affaticati, un motore non immobile di ottoni e di archi come un’orchestra asmatica che si accordi con difficoltà.
–Canta, canta!… – gli dicono centrando il cappellaccio in terra con una moneta. E lui con lo sguardo acquoso fa cenno di stringersi il pugno al petto gorgheggiando con un suono simile alla carta vetrata un:
–Grazie!- sonante e soddisfatto, imitando il “parlato” d’operetta
–Dedicherò questa birretta a te, amore mio sconosciuto!…–
La velocità della massa di uomini e donne che si sposta da un punto all’altro della città come in una clessidra, ogni giorno su quel marciapiede, viene alterata dal suono ruvido e dal tono beffardo che fuoriesce dal suo cavo orale.
Un monito, il richiamo di un sirenetto rauco alla vacuità della fretta. Uomini legati a doppio filo alla schiavitù dell’ora esatta, e del minuto secondo da centrare ad ogni passo, vengono intontiti per un tempo indefinibile da una fonte sonora oscura e cavernosa che li blandisce, rapendoli dalla strada.
La cecità non gli è d’ostacolo. Sa esattamente del rumore dei passi di chi esita, e di quanti sono quelli che non resistono al duro impatto della sua voce.
Sa quanti corpi barcollano allo scontro con le onde seghettate delle sue blue-notes. E i piccoli cerchi concentrici umani che gli si formano intorno sono simili a quelli che si allargano nell’acqua quando vi affonda un sasso.
La cecità non gli è d’ostacolo. Sa esattamente del rumore dei passi di chi esita, e di quanti sono quelli che non resistono al duro impatto della sua voce.
Certo che anche gli uomini stessi, qualcuno sospetterebbe soprattutto loro, partecipano allo scempio con una discreta attitudine emulativa che la dice lunga sulla competizione che stabiliscono con Dio per dividersi le spoglie del pianeta che abitano. L’uno nel Sito Immaginario, l’altro in quello Reale.
Chi sono ad esempio quei due che si tengono per mano mentre ascoltano il Griot metropolitano cieco, fare i gargarismi con l’acido muriatico, tutti compresi nello sforzo di carpirgli il segreto della musica e della sua fascinazione?
E quell’altro tipo un po’ in disparte in grisaglia d’ordinanza che sembra fulminato sulla via di Damasco, con la borsa di pelle nera in una mano ingombra del sangue delle sue vittime finanziarie? Come mai si è fermato anche lui in posa mistica, sguardo perso, e bocca aperta?
Forse perché il barbone sfatto di cattiva birra ha toccato i loro tasti dolenti, i loro bottoncini segreti, esposto i loro nervi alla radiazione della sua voce facendo emergere un’umanità dimenticata? E’ come scavare in un sito archeologico affondando strumenti in un terreno cedevole, avendo a disposizione il più potente dei mezzi di scavo: la frenesia dovuta al ricordo di qualcosa di irrimediabilmente perduto.
Ognuno di questi uomini in cerchio insomma, anche se ora si ricompone e ritorna a correre, anzi a rincorrere l’oggetto scuro del suo desiderio, ha subito l’effetto devastante dell’evocazione di un fantasma prigioniero nella propria mente.
I due amanti questa sera si lasceranno senza una ragione così come aveva cantato il Griot.
E il broker, dopo aver visto scorrere e cadere i suoi titoli in borsa, verrà attratto dal cassetto della scrivania dove ha riposto la pistola che ha comprato un giorno, più per esibirla che per usarla. Ma questo il Griot non lo canterà sui marciapiedi di New York o Londra, dove si svolge presumibilmente questa storia di possibilità.
Lui vocalizza solo canzoni d’amore.