La ricetta del (buon) vivere
In realtà non esiste. La ricetta del buon vivere è e sarà una presa in giro colossale. Nel millenovecentonovantaquattro a Sappada, nelle Alpi del bellunese, ricordo un negozietto dove vendevano trabiccoli di ogni genere tra cui piattini e ceramiche varie con le “ricette” della vita: ricetta per un buon matrimonio, ricetta per una vita felice, ricetta per una famiglia serena, e simili. Gli ingredienti erano scontati: un chilo di amore, tanti grammi di affetto, mille carezze, una manciata di pazienza… e si alternavano a seconda del prodotto finale con dosaggi diversi e metodi di esecuzione specifici. Bello, folklorico… ma che sciocchezze.
Vedo passare due fratelli per la strada, camminano spediti parlando del più e del meno. Attraversa la strada un’auto un po’ datata, forse una Mini, in stile Mr. Bean; “Oh! Guarda che bella macchinina!” “Sì, è come quella che aveva tuo padre quando ha cercato di ammazzare te e la mamma”, “Ah già, è vero!” e proseguono il loro cammino. Ne parlano tranquillamente, penso; che abbiano trovato veramente la ricetta del vivere bene? Questo ricordo non li sconvolge? Eppure, a noi non verrebbe da scherzarci sopra, o si?
Molto legate negli anni che furono, ci si ritrova cambiate ma sempre uguali. Ossimori della vita
Allora mi chiedo quale differenza esista tra quelle persone che da anni e anni passano la loro vita a resistere e ad affrontare esperienze che i tatuaggi te li lasciano certo, ma sull’anima, e quelle altre persone che viaggiano per il mondo alla ricerca della felicità, dello sballo, del distacco sensoriale e la vita se la tatuano sulla pelle. Quali sono gli ingredienti diversi che rendono la torta chiamata vita così specifica? Sarebbe carino saperlo anche per capire come si potrebbe, nel terzo millennio, affrontare diversamente certi momenti critici, certa stupidità mediatica, certa inutilità esistenziale.
Poi ti guardi attorno e capisci che in fin dei conti sono pochi coloro che sapranno rispondere dandoti la corretta lista di ingredienti per una ricetta tanto astrusa quanto stupida. C’è chi ti dirà che vivere bene non significa avere una vita perfetta, con il matrimonio perfetto, il lavoro, la casa e il cane; chiunque avrà il suo concetto di benessere legato a ciò che soggettivamente fa stare bene. Il vicino di casa spacciatore, con interessi pari al commercio casalingo, la pizza, le birre e il bar può essere tutto quello attorno cui gira la sua esistenza, e ti dirà di essere felice. La musona del complesso residenziale, che si sente il centro del mondo e che riesce attraverso circuiti psicologici (e non solo psicologici) ad ottenere sempre quello che vuole, potrebbe rilasciare un’intervista su come le sue tattiche e le sue dinamiche riescano, a fine giornata, a farla sentire serena e in pace con sé stessa. Poi ci sono le coppie che ti raccontano la loro vita, che ti spiegano come in nessun legame e nessun rapporto ci sia la strada sempre asfaltata. Ci sono buche in ogni dove, discussioni spesso anche inutili causate dallo stress che questa nostra società ti inietta nelle vene, ma che alla fine risultano formative. Ti illustrano come una ricetta corretta, o almeno verosimilmente adatta, dovrebbe tenere in considerazione il sale. Quel pizzico di sale che serve anche nel dolce più mieloso del mondo. Quella punta di sale che aiuta a mantenere un equilibrio e che anzi, spesso e volentieri, è quello che serve per la lievitazione, la crescita, la buona riuscita del prodotto finale. Lo schiaffo inaspettato. Il fulmine a ciel sereno.
Roberto Gervaso lo diceva bene “Il problema non è vivere a lungo. E’ vivere bene“. Quello che non aggiungeva, era come farlo.