Sul mentire
Ho sentito il mio amico riguardo a cosa scrivere per l’articolo di oggi, non sapendo proprio da dove iniziare. Stavo pensando di fare le orecchie a questo foglio Word, di prendere a scarabocchiarlo, aggiungervi orli e linee di fuga. Avevo in mente di riempirlo di niente, e proporlo come succoso commento alla mia rivista di riferimento. La redazione avrebbe capito e io mi sarei battuto il petto inventando molte scuse. Avrei addotto un funerale, un incidente senza gravi conseguenze, uno stato psichico di assoluta prostrazione e affaticamento, una depressione dovuta alla disaffezione . Campione di pigrizia e detentore assoluto del record di rimandare gli impegni, spostare appuntamenti, allungare il brodo, mi riconosco nella figura del mentitore per necessità con attitudine professionale alla giustificazione, anche a quella non richiesta.
Con me al comando , un luogo di lavoro diventerebbe un posto privo delle più elementari certezze spazio-temporali. Il relativismo si trasformerebbe in una dottrina di fede, e la bugia dovuta a qualsiasi specifica causa (soprattutto la causa dell’assoluta indolenza intellettuale) governerebbe la produzione, il traffico ferroviario e quello aereo. Le automobili rimarrebbero semplicemente immobili per scelta strategica.
Dopo aver ascoltato l’ennesima descrizione della mia più classica arrampicata sugli specchi, che giustifichi l’infinita serie di mancate risposte alle sue chiamate telefoniche, il mio pazientissimo amico mi ha proposto proprio di scrivere qualcosa che riguardasse questa piccolezza futile e a volte necessaria, che si chiama in modo sbrigativo “bugia”. Il mentire come arte, ma non riferito alla strategia dell’inganno e del potere, quanto a quello meno subdolo del rinvio, della proroga, della sospensione sine die, della procrastinazione a un tempo futuro, possibilmente felice e sgombro da nubi minacciose. Cioè ad un “mai” secco e rotondo.
Io invece credo di essere una via di mezzo. Un bugiardo senza professione.
So a chi state pensando. State pensando a Odisseo. E a chi se no? Ce lo hanno proposto come modello di intelligenza umana che si oppone al disordine, al caos e alla forza bruta. L’uomo capace di condurre contro il destino avverso una battaglia che si vince solo con la pianificazione delle proprie strategie di sopravvivenza. Tirarsi fuori dai guai attraverso l’invenzione di modelli di narrazione verosimili che disorientano e seducono l’avversario più sospettoso, crudele e brutale . Polifemo, e altri personaggi del mondo esterno sconosciuto e ostile, sono rappresentati come forze primitive, prive di malizia e di elaborazione di modelli che simulano percorsi diversi da quello unico e vero. Il mondo senza la bugia è arcaico e pastorale, privo di curiosità e delle capacità che ci spingono a superare colonne, infrangere tabù, abbattere idoli, aprire frontiere.
Ulisse, ma anche Sherazade, la schiava condannata, che per rimandare la propria esecuzione adotta la strategia propria della narrazione come antidoto e come via di salvezza. Ritarda l’ora certa della propria morte narrando appunto le meraviglie e le contraddizioni della vita.
Ulisse e Sherazade, due bugiardi professionali .
Io invece credo di essere una via di mezzo. Un bugiardo senza professione. Uno di quelli che delega le responsabilità, le divide e le sminuzza riducendole in briciole digeribili. Le scioglie in un bicchier d’acqua e le ingolla solo quando sono rospi disciolti allo stato liquido, trasformandoli in gassose bolle di propositi differibili, di questionari inintellegibili, di santini da tenere nel taschino della giacca per miracoli che non si verificheranno. Posseggo un pettine incapace di sciogliere nodi, viluppi e intrichi. Il terreno su cui cammino ha retto il mio peso specifico per coincidenze astrali che il caso ha voluto mi si ponessero davanti per puro capriccio, senza per ora precipitarmi in nessun orrido. La scadenza di una bolletta telematica incombe sulla mia testa dura e tagliente come una lama di carta che fa scempio delle mie carni. Nel sogno vengo inseguito da creditori molesti e armati di ogni sorta di oggetto destinato all’offesa. Mi circondano persone la cui diffidenza sul mio conto (soprattutto corrente) è condivisibile perfino da me stesso.
Ed è per questo che considero dire bugie un’arte certosina, raffinata , destinata a un animo nobile che la sviluppi e la faccia propria, senza ridurla a esibizione delle proprie miserie quotidiane. Non ho bisogno di dimostrare quanto io sia bugiardo. Lo sono per necessità, perché mi ritengo intelligente, e della bugia mi nutro, compiacendomi della stupidità altrui. Aggiro le difficoltà usando l’arma della menzogna e della dissimulazione, anche se ritengo la bugia molto più innocente delle prime due. Quest’ultima è spontanea e immediata, istintiva e quasi del tutto priva del senso di malizia. Assume quasi un aspetto di difesa della propria integrità. E’ uno schermo, un filtro, un velo, una piccola variazione sul tema, una fuga musicale destinata ad esaurirsi. Si consuma brevemente nello spazio, e il tempo la divora e la sminuzza, la rende piccola e quasi irrilevante nell’economia della contingenza universale. La bugia è nuda molto più della verità, ha mille destini. La verità ne ha uno e indifferibile che si chiama morte. La bugia è facile da dimenticare, anzi è fatta per essere dimenticata. La bugia serve a rimandare una verità semplice che per questo ci sembra stupida e incompleta. La bugia la arricchisce di variabili , le dona plasticità, adattabilità, scorrevolezza.
La menzogna invece è qualcosa di molto più complesso. Ha bisogno di una teatralità certificata, di un attore che la reciti con scrupolo e dedizione. Il mentitore professionale a differenza del bugiardo è un uomo che ha trasformato la bugia in architettura complessa, in edificio ampio e arioso. Il bugiardo suona musica da camera, mente consapevolmente a sé stesso e a pochi intimi, la madre, un amico, la moglie.
Il bugiardo si sbugiarda, il mentitore non si smentisce mai.
“Si mente perché l’altro che sente
Apprezzi lo sforzo l’amore e il coraggio
Si mente per lo stupido vantaggio
Di narrare a sé stessi una storia da niente
Si mente non per logica e paura
Ma per fottere la nostra natura”