Un’estate senza Pulcino Pio
Che ci crediate o no, sono sopravvissuto all’estate scorsa senza aver mai ascoltato “Pulcino Pio”, proprio lei, la dannata canzonetta che per mesi ha martellato il cranio (per essere buoni) di milioni di persone. Ce l’ho fatta, ho vinto. Non so nemmeno che motivetto abbia, non so niente di niente di quella canzone. Quando lo dico in giro la gente mi guarda con un’aria stupita tendente al preoccupato, e io capisco il perchè, devono immaginarmi come uno che l’estate scorsa se n’è stato chiuso in un bunker evitando ogni contatto con l’esterno. Per non averla mai ascoltata devi non essere mai andato in spiaggia, mai entrato in un bar o un ristorante, mai andato al supermercato, mai acceso la radio (ovviamente) e soprattutto devi aver avuto la grande abilità di evitare ogni individuo la cui insufficiente forza mentale non sia riuscita a proteggerlo dal lavaggio del cervello, e che da un momento all’altro potrebbe sorprenderti (e sorprendersi) canticchiando l’eretico motivetto.
E se è vero che così ci si perda una fetta di mondo io rivendico con orgoglio il diritto di fare a meno di ciò che non mi interessa
Vi rendete conto di come possa una cosa così facile come il non voler ascoltare una canzone diventare d’un tratto così difficile? Beh è quello che accade ogni estate, da me ribattezzata come quel periodo di tre mesi durante il quale un gruppo di massoni mezzi-avvoltoi-mezzi-alieni si siede ad un tavolo e decide dove devono andare i soldi dei mezzi-uomini-mezzi-polli (sì, questa è la spiegazione più logica che sono riuscito a darmi del fenomeno). Ogni maledetta estate ci rifilano un Waka Waka, un Pa Pa l’Americano, un Pulcino Pio o qualcosa di simile. Ma queste canzoni, poi, piacciono davvero a qualcuno? Non me ne vogliate per la battuta politica ma questa cosa mi ricorda il mistero di Berlusconi: ogni volta, a parlare con la gente, pare che nessuno l’abbia votato, ma poi i voti li prende sempre.
A differenza sua però – del signor B. – queste canzoni si sciolgono inesorabilmente sotto l’ultimo sole estivo, lasciando… lasciando niente. È questa la cosa che più mi da rabbia. Come può una canzone avere la data di scadenza? Un bel pezzo è bello sempre, magari nel tempo lo ascolti di meno ma non lo dimentichi. Una canzone che non è fatta per durare è fatta per un solo motivo, per i soldi, e una canzone fatta esclusivamente per arricchirsi non merita neanche di essere chiamata canzone, non ha alcun valore artistico. Ma come ogni volta in cui mi trovo a lamentarmi del “sistema”, mi trovo ad ammettere dolorosamente che quel sistema non esisterebbe se solo le persone non lo volessero, se non saltellassero al ritmo di ogni nota che gli viene imboccata con la forza, se solo capissero che tutto questo cantare e saltare non è che rumore creato ad hoc per coprire il suono sottile della solitudine nei loro cuori. E allora mi rendo conto che anche noi siamo un po’ mezzi-uomini e mezzi-qualcos’altro. Qualcosa che non è niente di buono.
Ma intanto un po’ mi sento di esultare, del resto un’estate è passata, e quella brutta canzone io non la ascolterò mai.