Sulle sponde del fiume mi son seduta…
…e ho pensato che la vita somiglia a un corso d’acqua. Si nasce, si cresce, si lotta per farsi spazio e raggiungere nuovi orizzonti, senza sosta fino allo sbocco al mare. Ci si ricongiunge al tutto e si ricomincia daccapo.
I latini scelsero il termine Flumen, un derivato del verbo fluire, perché l’acqua fluisce in una sola direzione alla conquista di nuove terre, in una corsa contro il tempo. E poi il tempo si annulla ed è un nuovo inizio. Linearità e ciclicità si sintetizzano in un solo elemento. Così è anche per la vita.
La feluca ondeggia lentamente tra le onde mentre sembra trovare conforto tra le braccia del grande Nilo. Si dice che ad Assuan si vedano i tramonti più belli di tutto l’Egitto. Stringo tra le mani la tazza fumante di karkadé, soffiando ritmicamente in superficie con il vapore che per la condensa mi inumidisce la punta del naso. E scende il silenzio, come se tutti fossero in attesa del momento in cui il sole scende rosso a baciare la terra per poi venirne inghiottito, e anche le cannaiole nei canneti smettono di cantare. Come se quell’attimo non si fosse ripetuto ogni giorno sin dalla creazione del mondo, ma accadesse ora e poi mai più. Trattengo il fiato, mentre il marinaio si sposta per l’imbarcazione a piedi scalzi e con l’agilità di un acrobata si arrampica sul pennone per issare la vela.
Ed è allora che arrivano, scanzonati e rumorosi come solo a quell’età, con una mucca che li segue docile condotta per la cavezza. Si tuffano nel fiume ridendo, ignari di tutto, con l’animale che si immerge beatamente in acqua e una corolla di spruzzi tutt’intorno. Il tempo si avvolge su se stesso e torna a giorni antichi, all’età dell’innocenza, a quando la vita odorava di legno e polvere, questo fiume era chiamato Chiave della Vita e a navigarlo erano ben altre civiltà.
Ma ci sono fiumi che narrano storie ancor più antiche
L’Eufrate emerge dalle rocce nella sua placidità, le increspature a pelo d’acqua somigliano alle rughe disegnate sul volto di un vecchio. La vegetazione cammina per alcune decine di metri prima di essere inghiottita dall’aridità del deserto. Saltelliamo sulle rovine di un palazzo che non c’è più, eccezion fatta per dei vicoli sotterranei che somigliano ad un labirinto, le cui mura ci offrono un rifugio temporaneo dalla calura pressante. Tendo l’orecchio e il vento porta l’eco di esclamazioni di giubilo in lingue arcaiche, di canti rituali di pratiche ancestrali. Di urla di guerra di eserciti lanciatisi alla carica tra la polvere sollevata dagli zoccoli dei cavalli, con gli archi pronti a scoccare la prima freccia contro il nemico. Ma forse è solo suggestione, perché poco più in là dei ragazzi si gettano in acqua dal ponte, i corpi bagnati emergono in superficie luccicando al sole tra gli applausi degli spettatori.
E poi ci sono fiumi che sussurrano i miti delle origini
Il rio Yapacanì si insinua con una fantasia di meandri tra gli alberi della foresta, una scia azzurra che serpeggia nel verde dell’Amazonia. Uomini dai capelli lucidi e neri stanno con le gambe in acqua ad osservare i pesci che guizzano veloci nella corrente. Dai capelli folti e neri cadono grosse gocce d’acqua, gli occhi scuri semichiusi osservano, gli zigomi sporgenti e le labbra carnose sono un marchio di identità. Qui si pesca con un bastone appuntito o con il filo, e nella foresta si va a caccia con le trappole e la cerbottana. Non c’è bisogno di dare un nome alle cose, perché le cose sono già prima di essere nominate, ed esistono in funzione di se stesse. E non c’è nemmeno bisogno di scrivere o spiegare le regole, perché le regole si imparano osservando la natura ed anche queste esistono in funzione di essa. La Madre Terra si prende cura delle sue creature e tutte le creature tornano a lei. Non c’è altra certezza, questa è l’unica essenziale verità.
Il fiume scorre nella sua indefessa pacatezza trascinando via con sé silenzioso le memorie del mondo. Racconta storie di uno, racconta storie di molti.
Il sole è sceso lasciando il passo alla luna. I miei pensieri seguono il moto delle onde verdi, fluttuano in balia della corrente e si lasciano trascinare giù fino alla foce. Si tuffano nel mare, abbracciano l’eternità.