Ti sei mai innamorato?
“Ti sei mai innamorato?” – Ginevra uscì con questa domanda come se fosse quella più semplice al mondo mentre, vicino a Leonardo, aspettava l’arrivo dell’autobus. Le gambe incrociate e le braccia pure, se ne stava appoggiata su un muro scrostato dal sale e dal sole, con le spalle che riuscivano ad avvertire la sabbia dell’intonaco riesumata sotto alla tintura bianca di una casa caprese.
Leonardo le si avvicinò e non seppe resistere. Arrivò con la bocca quasi a sfiorarle l’orecchio sinistro e poi le disse, a bruciapelo, con le labbra pronunciate verso il suo lobo nervoso: “Mi sono innamorato tutte le volte. Ma non so se era amore”. Rimase così, a tre centimetri dalla sua faccia tanto che Ginevra riusciva a vedere ingigantiti i suoi occhi, ad analizzare ogni microscopico centimetro della pelle, ad avvertirne l’odore. Provò un leggero brivido e pregò Dio che lui non se ne accorgesse. In effetti negli ultimi giorni ogni volta che Leonardo le si avvicinava per un qualsiasi motivo provava un desiderio, volutamente inappagato, di essere baciata. Lui le era piaciuto fin dal primo momento, da quando era scesa dal traghetto a Capri e l’aveva intravisto con la maglietta viola sul molo. L’aveva colpita il suo sorriso, l’armonia della voce e quell’aria interessante che si portava dietro come la scia di un buon profumo. Cercò immediatamente di scacciare via quei pensieri: la vera, grande paura di Ginevra era di perdere ciò che poteva conquistare. Per lo meno questo era quello che le era successo nei suoi trenta anni di vita. Appena riusciva a impossessarsi di qualcosa sapeva già di essere destinata a perderla.
la vera, grande paura di Ginevra era di perdere ciò che poteva conquistare
Non faceva in tempo a gioire che già il dolore era pronto, in agguato, per farsi sentire. Questo era il muro che si era creata sul cuore. Lasciò che i brividi le salissero ansimanti lungo la schiena quando sentì le sue labbra troppo vicine per non desiderarle. Ma non lo baciò. Avrebbe pensato poi la sua fantasia a soddisfare quel momento. Quando andarono a letto, quella notte, Ginevra non si addormentò subito. Si girò di lato, su un fianco, con il lenzuolo che la copriva fino alla spalla e provò ad immaginare nuovamente quel momento. La bocca di Leonardo che le parlava piano vicino all’orecchio, la sua emozione e poi quel bacio desiderato. Durò almeno qualche minuto. Pensò che sarebbe stato un bacio bellissimo. E sentì nuovamente quell’emozione del pomeriggio ripercorrerle i pensieri. Leonardo invece quella notte non dormì. Riuscì a rigirarsi nel letto almeno cento volte e per cento volte guardò Ginevra, lì vicino a lui. Non erano passati molti giorni da quando aveva iniziato quella vacanza con lei e pensò che, tutti i suoi programmi erano improvvisamente saltati. Il suo itinerario di viaggio per i posti sconosciuti dell’Italia si era volatilizzati.
Era ormai passata una settimana da quando erano arrivati a Capri e non si erano mossi da lì. Leonardo non riusciva a starle vicino senza provare a toccarla, a sfiorarla, a sentire la pelle accaldata. L’avrebbe stretta ogni secondo, ci avrebbe fatto l’amore in ogni sperduto o conosciuto posto di quell’isola. Così si alzò dal letto,prese i fogli dove aveva segnato, passo passo, l’itinerario della sua vacanza e li spezzò in quattro parti con le mani e lì gettò nel cestino. Aprì le ante della finestra e se ne andò fuori. Guardò i colori del buio mutare intorno ai Faraglioni e lasciò che il moto del mare gli riportasse quella tranquillità che i suoi pensieri, quella sera, gli avevano negato. Aveva notato qualcosa di strano in Ginevra dal pomeriggio del giorno prima e quel pensiero, un po’ l’assillava. Era abituato ad essere una persona diretta, che non voleva star troppo a bruciarsi con il fuoco. Aveva bisogno di acqua fredda sui pensieri e di ventate che schiarissero le indecisioni. Così rientrò nella stanza e le si sedette vicino, sul lato del letto. Lei parve non accorgersene e, a differenza di Leonardo, dava l’impressione di dormire sonni più che tranquilli. Provò a tentennarla delicatamente, cercando almeno di non impaurirla. Ginevra aprì un occhio, non capendo bene se fosse già mattina e il momento di alzarsi. Notò la stanza buia, illuminata solo dal fascio di luce che entrava nella camera dalla porta socchiusa del bagno.
“Che è successo?” – chiese agitata a Leonardo, tirandosi di scatto su dal letto. Si spostò qualche ciuffo ribelle dagli occhi che gli oscurava la vista e notò qualcosa che non andava nel volto di lui. “Stai bene? – domandò preoccupata. “Oh, ma certo piccola. Scusa se ti ho svegliata. E’ che i Faraglioni, là fuori sono uno spettacolo incredibile”. Ginevra tirò un lungo sospiro di sollievo e abbracciò, istintivamente Leonardo. “Avevo paura che fosse successo qualcosa…”- disse chiudendo di nuovo gli occhi appoggiati alla sua spalla. Lui respirò a fondo quell’abbraccio che sapeva di cose che non aveva sentito mai. Era diventata una piacevole ossessione quella Ginevra che conosceva da appena una settimana. E il suo essere sfuggente lo portava a desiderare di starle vicino ancora di più. Si liberò dall’abbraccio di Ginevra e con un gesto scaltro le passò una mano sotto alle cosce ancora addormentate e l’afferrò, prendendola in collo. Lei non ebbe nemmeno il tempo di protestare, Leonardo l’aveva già portata fuori, sul terrazzo.
All’inizio non parlò. Stringeva Ginevra accarezzandola da sopra le lenzuola, mentre pensava a come iniziare il suo discorso. Prese tempo, pensando che prima o poi quella frase sarebbe uscita spontanea dalle sue labbra. “Perché non andiamo sul mare?” – propose lui, sussurandole nuovamente all’orecchio, come aveva fatto nel pomeriggio precedente. “Adesso?”. “Sì, adesso”.“Perché no”- rispose Ginevra sentendo l’emozione salirgli fino a seccargli la saliva nella gola. “Torniamo dentro. Metto su qualcosa”. Lui la prese per mano, come non aveva mai fatto fino a quel momento e insieme scesero in strada. Il portiere di notte li guardò stranito ma poi capì.
“A cosa pensi?” – chiese improvvisamente Leonardo notando gli occhi assenti che stranamente luccicavano nell’ombra della notte. “Torniamo indietro” – chiese cercando di trattenere un maledetto singhiozzo che le strozzava la gola. “Vieni qua”. La abbracciò. Durò molto. Moltissimo. Stretto in quell’abbraccio lasciò che le labbra cadessero sul collo fresco di lei. Non resistette al desiderio di lasciarle scivolare verso il lobo dell’orecchio e, appena arrivato a sfiorarlo, chiudere entrambe le labbra. Le strinse con la bocca ogni centimetro del collo, salendo e scendendo, accarezzandola con il naso, facendo scorrere il labbro inferiore dall’attaccatura del collo fino all’incavo dove termina la mascella. Sentiva la pelle tirata di Ginevra, il suo silenzio appagante, le mani che l’accarezzavano sulla schiena. Non dissero niente, neppure una parola.
Spostò le labbra sulle guance di lei mentre con le dita le segnava i contorni del viso, girò intorno a quella bocca ansiosa senza neppure sfiorarla. Tornò a baciarle il collo, i lobi delle orecchie, le guance calde e tese, poi si fermò a fissarla. Ginevra non resse a lungo quello sguardo. Fece in tempo a socchiudere gli occhi e vedere le labbra di Leonardo che correvano veloci a cercare le sue. Le mordicchiò, ci passò la lingua, le strinse con le labbra. Le sfiorò leggere e poi appassionate, le prese piano e poi forte, cercandole e respingendole alla ricerca di tenerezza e sensualità. Finirono, ancora incollati l’uno all’altro, distesi sui sassi rotondeggianti della spiaggia.
Fare l’amore quella notte fu la scoperta della vita. La felpa con la zip che aveva scaldato Ginevra fino a quel momento sotto raffiche di presunto libeccio volò via lasciando scoperto un seno acerbo e turgido. I pantaloni che calavano sulla vita vennero facilmente via da soli anche senza bisogno di tirare giù la zip. Ginevra appoggiò le braccia aperte sui sassi, in completo stato di abbandono, aveva lasciato correre tutta la sua ragionevolezza insieme alle sue teorie, non appena aveva sentito le labbra di Leonardo scorrerle umide sul collo.
La bocca di lui, quella notte, fu instancabile. Leonardo aveva voglia di assaporarla tutta quanta, di sentirla sua, di averla. Le succhiò i capezzoli tesi girandoci prima intorno con la lingua, li accarezzò poi con le dita, stringendoli con le labbra. Le prese i seni con le mani e li accostò a sé. Stette qualche momento fermo, per sentirla semplicemente incollata addosso. Aveva voglia della sua pelle, di quella sensazione incomprensibile di abbandono e lucidità che dà l’estasi. Inchiodò gli occhi su Ginevra mentre scese con la testa verso la pancia morbida, l’ombelico, i fianchi serrati, le gambe tese e attaccate a terra. Lei tremava e fremeva, piccola e insicura ma che nello sguardo traspariva sensualità e la voglia di essere arrivata fin lì. Continuò a scendere con la testa, anche se le mani di Ginevra cercavano, non abbastanza decise, di fermarlo. Le afferrò le ginocchia e le portò verso l’esterno mentre con la lingua arrivò a lambire l’incavo dell’inguine salendo sull’interno coscia e poi scendendo di nuovo.
Ginevra pensò di svenire. Provò ad allineare il cervello, a riposizionare tutto quanto ed evitare che quella voglia di piacere improvvisa mandasse in panne i suoi buoni propositi di evitare assolutamente tutto quello che invece stava succedendo. In tre secondi si fece circa sei o sette domande. Che penserà di me? Ma il sesso orale non è quasi più intimo del fare l’amore? Mi prenderà per una facile e questa diventerà una storia estiva che mi spaccherà il cuore?. Tre secondi. E Leonardo le spostò gli slip con le labbra, baciandola come mai nessuno l’aveva baciata. Le mani di Ginevra tese sulla testa di lui, a impedire quel bacio così profondo divennero morbide e lo carezzarono. Non resistette molto e appena avvertì un piacere infinito che stava per penetrarle il corpo e devastarle la mente: chiuse con un gesto improvviso le gambe, riavvicinando le ginocchia e cercando di portare Leonardo vicino alle sue labbra. “Ti voglio qua” – gli disse e lo baciò e lo strinse a sé, passando le mani umide sulla schiena di lui.
Scese e risalì più volte lungo tutto il perimetro della schiena, arrivando ad accarezzargli i glutei mentre avvertiva il suo essere eccitato e voglioso di prenderla. Avvertì il calore dell’amore e la voglia di scoperta. Di prendersi e di guardarsi spogliati di ogni incertezza, privi di false parole o di parole non dette. Leonardo era disteso sopra di lei e poteva sentirne l’eccitazione. Si sentì donna. Desiderata. E sentì che quel desiderio stava ad una soglia altissima per entrambi. Lo fissò dritto negli occhi con una sicurezza ostentata e solo quello sguardo era buono a far provare il migliore degli orgasmi a Leonardo. Continuò a serrarlo con gli occhi e schiuse le gambe. Percepì chiaro il tremore delle braccia di lui mentre le entrava dentro. Lo fece piano, iniziando poi a muoversi in lei, con l’arma in mano di chi sa amare. Lasciarsi andare e fare l’amore fu la cosa più bella dopo giorni nei quali si erano scrutati, indagati e desiderati. Sentire Leonardo che si muoveva sopra di lei regalandole emozioni e brividi inaspettati fu una scoperta micidiale.
Lasciarsi andare al piacere, volersi e cercarsi fu una liberazione: dalle paure, dalla ragione che lega troppo spesso la mente e da quella distanza che contraddistingue le relazioni convenzionali. Ginevra non riuscì a parlare, avvertì solo una lacrima scorrerle lungo la guancia destra mentre Leonardo stava venendo insieme a lei. Non le era mai successo, o quasi mai di trovare quella complicità nel sesso, quel capirsi innato e travolgente. Una lacrima che scese nuovamente quando lui, dopo essere venuto rimase dentro di lei. La strinse e la baciò ancora, facendole sentire che non era solo il suo corpo quello che aveva voluto. Le carezzò la testa e sorrise. “Siamo due malati di mente” – disse tanto per smorzare l’imbarazzo del dopo. “Può darsi”. “Sei già pentita? “ – chiese lui senza più avvertire il timore della risposta. “Moltissimo” – confessò stringendolo a sé. “E pensare che stanotte ti avevo portata qui per parlare. Volevo capire perché eri, a volte, improvvisamente triste”. “Devi pensarci tu a farmi sorridere”- glissò lei. “Non vuoi proprio parlarne”. “No, non adesso. Adesso voglio solo gustarmi il momento“. Lasciò che la avvolgesse di vestiti come un cucciolo indifeso e si chiese quanto sarebbe durata. Ginevra guardò l’orologio. Segnava le cinque del mattino del tredici agosto. Quel giorno sfiorò una felicità resa ancora troppo opaca dalla sua paura di vivere.