Sagre di paese, ma anche no!
Per quanto bizzarra sia quest’anno, una delle cose che l’estate offre anche stavolta sono le sagre di paese. Qui da noi ce ne sono ogni giorno, ma suppongo che anche altrove questa delizia prettamente tricolore non manchi. Io ne ho viste talmente tante che sono giunta alla conclusione che posso farne a meno. In principio erano le feste di paese, e fin qui tutto bene. C’è un palco con ospiti locali o nazionali, ci sono le bancarelle, ci sono i gruppi in costume tipico. Uno spettacolo piacevole anche per i turisti, oltre che un appuntamento tra sacro e profano per il paese. Oggi, invece, ad andare per la maggiore sono le sagre. Che male c’è vi chiederete. Apparentemente nessuno.
La sagra di paese, a prima vista, non solo sembra un evento innocuo, ma addirittura interessante. Bisogna però partecipare a qualcuna per vedere come l’essere umano sia in grado di trasformarsi davanti a piatti tradizionali elargiti a un prezzo politico. Sì perché è questa l’arma vincente delle sagre, tu vai, ti puoi strafogare come se non ci fosse un domani e quel che è peggio è che puoi fare scorta d’alcool per i prossimi mesi invernali, il tutto a costi davvero irrisori, delle volte perfino gratis. Bello vero? Sì certo, se sei turista è una manna! Anzi, consiglio caldamente a tutti i turisti di pianificare un bel “sagre di paese tour”, in modo da non perderne nemmeno una. Vediamo se mi ricordo qualcosa.
Ad Aglientu, per esempio, un paesello nelle vicinanze di Tempio, fanno una bella Festa del turista. Addirittura. In quell’occasione ci si può letteralmente riempire la pancia di gnocchetti sardi, solitamente fatti a mano, con un sugo di cinghiale o di salsiccia tipico della zona. Naturalmente non manca il buon vino, mirto a fiumi e qualche dolce. Ma chi non ha mai visto il degrado dell’uomo in coda per un pasto gratuito o per pochi euro non capirà.
La fila inizia ordinata. Si chiacchiera del più e del meno, della giornata appena trascorsa, della spiaggia X e della spiaggia Y. Le signore, quelle le riconosci a colpo d’occhio se sono turiste o locali.
Le turiste, che ovviamente sono in vacanza, hanno una faccia rilassata, poco trucco o niente, capelli come vengono, pareo o calzoncini, infradito ultraflat e pochi orpelli.
La donna locale no. La donna locale vede le sagre di paese come un’opportunità per mettere in mostra tutti i suoi averi, e se dico tutti, secondo il paese, significa proprio tutti, a partire da due generazioni precedenti. Tu la donna locale “da sagra” non la vedi in fila. La donna locale in fila ci manda il marito. Lei fa capannello con le altre donne locali, naturalmente anche loro vestite come se fosse il giorno del matrimonio della sorella. Tacchi rigorosamente di altezza non inferiore agli otto centimetri, oppure un bel zeppone. Poco importa se nelle strade del centro storico, fatte con ciottoli assassini, si rompono il malleolo. Completino pantalone della prima comunione del figlio trentenne color confetto, riesumato dalla cassapanca, oppure se oltre una certa età, un bel nero che fa sempre elegante, con strati di scialle ricamati anche se ci sono trenta gradi alle dieci di sera.
Trucco del viso. Questo merita un capitolo a parte. Convinte che di notte si debbano accentuare i colori che altrimenti non si vedono, le donne nelle sagre di paese calcano “leggermente” la mano, osando laddove per tutto il resto dell’anno non mettono che crema idratante. Questa è un’occasione per sfoggiare i gioielli di famiglia che solitamente non sono pochi. Orecchini in filigrana da chilo, anelli con camei, camei con anelli, spille con bottoni, bottoni, ispuligadentes della trisavola, per un totale complessivo di venti chili in più da trasportare su tacchi precari.
L’uomo invece se ne frega. Turista o locale, basta che sia davanti a un bicchiere sempre pieno, e nelle sagre è facile che succeda. Una delle cose che un sardo non permette a un ospite, che sia locale o forestiero, è di avere il bicchiere vuoto. Il fondo del bicchiere è una cosa che non si deve vedere mai, è peggio che circolare coi genitali al vento. Ecco perché poi finiscono tutti in allegria a cantare “Nanneddu meu” remixato con “Le bionde trecce”.
Il problema però sono le file per il cibo. Ad un certo punto, di solito quando si suppone che le scorte stiano terminando, vedi sguardi da “mezzogiorno di fuoco”, uomo contro uomo, davanti al banchetto dei biglietti, pronti ad afferrare l’ultimo pezzetto di carta che tradotto in calorie significa trecento grammi di pecora bollita in compagnia di cipolle e patate. Si rovinano delle amicizie per l’ultimo piatto di pecora.
Ecco perché le sagre di paese anche no, perché alla fine diventa un lavoro. E poi chi si alza l’indomani per andare al mare? Per digerire quanto mangiato servirebbe lo stomaco di un’anaconda. E il tasso alcolemico? Tenetevi lontani dalle pattuglie, e d’estate sono tante e ben nascoste tra cespugli di mirto e cisto, perché il vostro palloncino sarà a rischio per almeno un paio di giorni.