Nuje Vulimme na Speranza dopo Gomorra
Napoli è una città molto particolare, bellissima, ricca di storia e cultura, madre di menti eccelse e artisti illustri, ma allo stesso tempo terra martoriata e devastata, sede di un cancro che colpisce direttamente e indirettamente la vita di tutti i suoi cittadini. Argomento a dir poco delicato che da sempre vede dividere la popolazione: La Camorra.
C’è, non c’è, si vede, non si vede, pregiudizi, paure, timori, lotte. I napoletani non amano parlare dei loro panni sporchi, che come si sa, li si preferisce lavare in famiglia. Ma non amano parlarne neanche quando si palesa problema nazionale. Camorristi o no, i napoletani hanno un orgoglio innato che odia l’idea di vedere associata la propria lingua ad azioni barbare e criminali, come quelle raccontate da Roberto Saviano nei suoi libri, poi riportate sul grande schermo. Ed ora, a fare scandalo, e ad attirare a sé tutto lo sdegno partenopeo c’è la fiction “Gomorra – La Serie”, andata in onda non molto tempo fa su Sky Atlantic. Un telefilm bellissimo, di altissima qualità, degna delle grandi fiction americane: attori da brivido, scene da forte impatto emotivo, una serie che tiene incollati allo schermo. Fotografie di una Napoli irriconoscibile, che potrebbe tranquillamente essere un qualsiasi sobborgo di una qualsiasi grande metropoli. Insomma un prodotto televisivo che non sembra italiano. Ma italiana è la storia, che per quanto romanzata, è brutalmente vera. Una guerra che in quegli anni fu una terribile carneficina, teatro di indicibili orrori: criminali, innocenti, scambi di persone, gente sparita nel nulla, uomini sciolti nell’acido, cadaveri trovati senza occhi o senza lingua. Il telegiornale era un continuo elenco di attentati e morti ammazzati. Ricordo che in quel periodo andai in vacanza in Trentino, e mi fece sorridere il fatto che lì il telegiornale regionale come prima notizia dava “Il cuculo tarda a fare il nido”. Mi sembrò di venire da un altro stato, da un altro pianeta. Il problema era nostro, e quando i fatti sono lontani e circoscritti a pochi, non importano a nessuno. Ora invece se ne ritorna a parlare grazie alla serie che ha alzato un enorme polverone. Ci sono pareri discordanti, c’è chi l’apprezza e chi la odia e, addirittura, c’è anche chi la combatte. Poco dopo la messa in onda delle prime puntate, a Napoli comparvero manifesti contro la serie, accusandola di gettare altra “merda” sulla città. Molte furono le polemiche, dal sindaco alle persone nei bar, tutti sembravano indignati, offesi. Poi però il tempo è passato veloce e la cronaca ci ha “regalato” altro di cui parlare: la morte di Ciro Esposito sconvolge l’opinione pubblica, morte che ha turbato ognuno di noi, facendoci quasi dimenticare la serie. Dopo Ciro, Salvatore Giordano, che era solo un ragazzino, vittima dell’incuria e delle trascuratezza di questa città. E come spesso accade “passato il Santo, passata la festa” e nessuno parlava più della “fiction del fango”. Poi però a ricordarne l’esistenza, risollevando gli animi e smorzando le tensioni, appare su YouTube un video dei The Jackal, “Gli effetti di Gomorra sulla gente”, un video davvero esilarante, che in pochi minuti riesce a raccogliere con ilarità i momenti più cruciali e di maggior tensione della serie televisiva. Gli sketch, recitati da Fabio Balsamo e Ciro Priello, come un virus, hanno contagiato tutti, con i suoi “ Biv Aggia verè si m pozz fidà e te!”, “ Stai senza Penzier”, “Vient a piglà o perdon” o con “Duj frittur”. Video che ha reso ancora più un cult la fiction, sdrammatizzando ed allentando la tensione dell’opinione generale. Contagiando anche chi probabilmente la serie non l’ha neanche mai vista. Infatti se vi trovate a Napoli non vi sarà difficile sentire in giro queste frasi ripetute dai ragazzi, più dell’Ave Maria nelle chiese.
In ogni caso Gomorra è una fiction che non lascia indifferenti, io, personalmente, da napoletana non mi sento offesa, come invece alcuni sostengono di essere. Dopo averla vista è scattata in me come una scintilla, una voglia di saperne di più, di informarmi su quelle cose che accadevano intorno, a pochi chilometri dalla mia scuola, probabilmente anche sotto casa mia. Quella cronaca nera di cui sentivo parlare, ma che in qualche modo rimaneva vaga, come un ricordo sfocato in un film degli anni sessanta. Ed ora mi vergogno di tutto quello che è successo. L’orrore di cui è stato capace l’uomo, la crudeltà e la spietata avidità hanno distrutto e mangiato la mia bellissima città, ed è evidente, sotto gli occhi di tutti, non lo si può negare. Sono contenta che questa serie sia stata per molti un “pugno allo stomaco”, sono felice che su al nord prendano coscienza di ciò che è stato, perché da come si evince dal telefilm non sono solo problemi di Napoli, di Scampia, o de “Le Vele”, ma ha radici profonde anche lì dove il cuculo tarda a fare il nido.
E se c’è molta gente che dà a Saviano del lucratore sulla pelle della sua città, io sto con lui. Che il mondo intero sappia di quello che ci fu tra i Di Lauro e gli Scissionisti, che la gente sappia che in realtà questa guerra non è ancora finita. Che la gente ricordi il nome di Gelsomina Verde, che nel telefilm prende il nome di Manu, protagonista di una delle scene più forti e difficili da digerire, tanto da far esporre anche il PM che al tempo ne seguì il caso, che le ha definite: scene “edulcorate” rispetto ad una più agghiacciante realtà. Che gli altri sappiano, ma soprattutto che i miei concittadini prendano coscienza, perché sapere è il primo passo che porta ad una vera rivoluzione. La verità non piace, non può piacere a chi i peli sul cuore non ce li ha, ma è questa, e non possiamo più scappare. Vittime e carnefici di uno stesso male, tutti infondo un po’ complici con la nostra omertà e con il continuo far finta di nulla. Giriamo la faccia, noi gente per bene, e ci ripetiamo che “fino a quando si ammazzano fra di loro a noi la cosa non tocca”. Poi però ci sentiamo offesi, parte lesa di un continuo pregiudizio. Io lo capisco, hanno le loro ragioni: ci si sente soli, additati come causa di tutti i mali. Si ha paura, è qualcosa di così grande e radicato che sembra non poter avere mai una fine. Ma nonostante tutto non riesco a condividerlo. Non riesco a pensare che “Saviano se l’è cercata”, non riesco a dimenticare Dario Scherillo, morto per uno scambio di persona, perché aveva la stessa moto del boss, o a Don Peppino Diana, che non tacque per amore del suo popolo. Non posso dimenticare Gelsomina Verde e la triste storia che le ha segnato la vita, distruggendone il ricordo anche durante il processo, o la notizia dei sei immigrati uccisi con centoventi pallottole in un agguato a Castelvolturno. Credo fermamente che conoscere e non dimenticare sono le azioni minime che ognuno di noi deve promettersi di fare per poter cercare di cambiare questa situazione. Perché per Napoli questo cancro è una dura realtà, che per quanto spaventosa, è minima in confronto al numero di persone oneste e di gente che con tutto questo non c’entra niente. Ed io la speranza non la voglio perdere!
Oggi voglio farvi ascoltare la canzone, sigla finale, della serie Gomorra, di Nto’ e Lucariello, reppers di Scampia, due dei TANTI fiori nati tra quell’asfalto e quel cemento :
Nuje Vulimme ‘Na Speranza
Asciut ajere ‘a vita accummeng mo’ / Uscito ieri(dalla galera) la vita inizia ora
Aret ‘o 600 scarp ianc nove / Dietro alla 600(motocicletta) scarpe bianche nuove
Io lla nun ce torno pecchè stanotte nun ce rorm / Io là non ci torno perché stanotte non ci dormirò
E penz chiù ‘a na’ Benz o na Range Rover / E penso più ad una Benz (Mercedes) o ad una Range Rover
Faccio vencere ‘a sfortuna / Faccio vincere la sfortuna
Tutt’ e frat mij perdut / Tutti i miei fratelli perduti
Facev part re cunt nun è pe nnuje ma p’e criatur / Faceva parte dei conti, non è per noi, ma per i bambini
Nuje vulimme na speranz’ e campà senza chesta ansia / Noi vogliamo una speranza per vivere senza questa ansia
Quand tornano ra’ scol / Quando tornano da scuola
Quann stann abbasci ‘o bar / Quando stanno giù al bar
‘E mettn mman ‘e pistol a droga e tutt ll’ati storie / E gli mettono in mano le pistole, le droga e tutte le altre storie
Atterran e camion ch’e scorie e ce purtamm pur e sciur / Atterrano i camion con le scorie, e noi gli portiamo anche i fiori
‘O penzamm tutt quant ma nun o ddice nisciuno / Lo pensiamo tutti ma nessuno lo dice
Nuje tenimm ‘na domad: ma chi giudica a chi giudica? / Noi abbiamo una domanda: ma chi giudica chi giudica?
E’ oggi ca se fa ‘o riman/ É oggi che si costruisce il domani,
E’ logic ca si riman inerme / É logico che se rimani inerme
Nun cagnà niente / Non cambia niente
Tien’e pier fridd a vien / Ha i piedi freddi come in inverno (è morto)
Nuje guardamm ‘a dint o binocol / Noi guardiamo da dentro il binocolo
Sti bastard comm jiocano / Questi bastardi come giocano
Senza ‘o rischio ‘e ij cancerc / Senza il rischio di andare in galera
Proprio comme dint’ o monopoli / Proprio come nel monopoli
Nuje vulimme na speranza pe campà riman / Noi vogliamo una speranza per vivere domani
Man aizate chesta ccà va sul pec chi rimman / Mani alzate, questa qua va solo per chi rimane
Nun saccio manc chi song se / Non so neanche io chi sono se
Stracci l’anema a tuorn’ cca’ / Straccio l’anima in torno qua
Stracci pe tutt e juorn ccà / Stracci per tutti i giorni qua
Spacci quand nun duorm / Spacci quando non dormo
Guard nfacc quand te sfong / Ti guardo in faccia quando ti sfondi
P’arraggià m’abboffo ‘e bomb / Per arrangiare mi riempio di bombe
E plancie aizano e suonn mij / Le plancie (pezzi di fumo) alzano i miei sogni
E minnacc ca t fanno omm / Le minacce che ti fanno uomo
A vit facile te nfraceta, te squaglia rint all’acid / La vita facile ti fa marcire, ti scioglie nell’acido
E vote nun me capacita ‘e vote nun trovo pace / E non mi capacito a volte, non trovo pace
Voglio n’ata prospettiva prosperità attiva / Voglio un’altra prospettiva, prosperità attiva
Guardo a figliemo a matin / Guardo mio figlio la mattina
Pront p’e n’atu destin / Pronto per un altro destino
In stiv m’astip a stim e castig / In stiva conserva la mia stima, e castiga
Stirpe nova dint’o festin te stira / Stirpe nova nel festino, ti stende
Istiga ‘a rivoluzione re’ogni person / Istiga la rivoluzione in ogni persona
Voglio benessere dint a stu cess / Voglio benessere dentro a questo cesso
Nun voglio comprensione / Non voglio comprensione
Vutt’t e vutt’t bbuon o brutt fa tutt rummor / Rischia e rischia bene, il brutto fa solo rumore
I llutt t’anghiutt o tumor me sfrutt me sfrutt e nun mor / Il lutto ti inghiotte, il tumore mi sfrutta mi sfrutta e non muore
Faccia dura ra speranza cu e criatur rind a panz / Faccia dura della speranza di chi ha i bambini nella pancia
Pozz sulo guardà annanz aret car rint o vacant / Posso solo guardare avanti, dietro cado nel vuoto
Nuje vulimme na speranza pe campà riman / Noi vogliamo una speranza per vivere domani
Man aizate chesta ccà va sul pec chi rimman / Mani alzate, questa qua va solo per chi rimane
Basta ch’e file ch’e prezz e l’affitt / Basta con le file e con i prezzi dell’affitto
Rammell’e merd agg ritt ma basta che è vita / Dammela di merda, ho detto, basta che sia vita
E cose nun cagnano e nuje alluccamm / Le cose non cambiano e noi urliamo
Sulo quand e guaje ce stann tuccan / Solo quando i guai ci stanno toccando
O stato t’appoia l’ecoballe ncap / Lo stato ci appoggia le ecoballe in testa
Tu scinn e t sball comm a chi nun sap / Tu scendi e ti sballi come chi non sa
Pecchè nun vuò sapè? fratè e rinunciat? / Perché non vuoi sapere? Fratello hai rinunciato?
Tien e juorn comm’e sord rint a tasc: cuntat / Hai i giorni come i soldi dentro in tasca : contati
Munnezz
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=Ke4M5KhzAYE]
Tradurre un testo dal napoletano all’italiano è davvero difficile, molte frasi non hanno la stessa intensità una volta tradotte, ma questo si sa, e spero non me ne vogliate per averlo fatto. In ogni caso lasciatemi fare un’ultima personale considerazione: sarà che sono di parte, ma la Lingua Napoletana si sposa perfettamente con la musica rap, dà ai testi un’intensità e una profondità, che l’Italiano difficilmente riesce a dare.