Femminismo: donne che odiano le donne?
La Repubblica ha recentemente pubblicato un articolo -clic qui per leggerlo- in cui allega fotografie riprese dai social network in cui giovani ragazze si mostrano con un cartello in mano su cui spiegano in poche frasi perché non si dicono femministe.
Prima di commentarli, analizziamo uno ad uno questi cartelli: il primo è in mano ad una ragazza che dice di non necessitare per alcuna ragione il femminismo; la ragazza è sorridente e decisa. Nel secondo si spiega che la donna rispetta gli uomini – senza pensare a quanti uomini non rispettano le donne ed al fatto che il femminismo non implica l’odio del genere maschile in toto- , perché essere donna non è uno svantaggio – idea che sta alla base del femminismo, la ragazza lo ha chiaro? –, perché si fa responsabile delle sue scelte – non pensa che se qualche generazione fa probabilmente non avrebbe potuto scegliere punto e basta, in molti casi? – , non si sente vittima – ha mai aperto un giornale per leggere che il maschilismo imperante miete continuamente vittime? – e soprattutto perché il movimento femminista è pieno di merda (testuali parole).
Abbiamo poi la terza, che dice di aver fatto la sua scelta di rimanere a casa piuttosto che lavorare, che va di comune accordo con la quarta che rimpiange la morte della galanteria maschile, brutalmente uccisa dal presuntamente crudele femminismo che, a questa donna, pare aver cambiato la vita assolutamente in peggio. A loro due mi viene soltanto da dire una cosa: il femminismo, ragazze, non significa diminuire la vostra libertà, ma aumentare quella di altre donne che in quella che voi reputate libertà stanno strette. Un po’ come la storia dei matrimoni gay che danno tanto fastidio a certi eterosessuali, insomma.
La ragazza dice che le piacerebbe essere aiutata se torna a casa con dei sacchi pesanti: chi spiega a questa ragazza che ci sono anche ragazze che possono aiutarla, che a spingere all’aiuto non dovrebbe essere galanteria con secondi fini facili da immaginare, ma semplicemente gentilezza disinteressata?
D’accordo poi con la sesta, che afferma di non voler giudicare i suoi fratelli per azioni commesse dal genere maschile in senso lato: benissimo, a quali femministe fa riferimento questa ragazza? Quante sono di fatto le femministe che odiano il genere maschile in toto? Leggo il foglio di questa ragazza che dice di supportare tutte le persone e non soltanto le donne e mi viene in mente che forse ho davanti una ragazza che la pensa in maniera molto simile a me, anche se prendiamo posizioni diametralmente opposte. A seguire, la fotografia numero 7 dove troviamo la scritta “non mi serve il femminismo, mi serve un uomo che mi rispetti”: qui dipende da che rispetto si intende, se questo rispetto implichi o meno la parità, una suddivisione equa dei compiti, la spartizione non rigida dei ruoli, una pari libertà fra le due persone. Ma ragazza mia, secondo te il femminismo non è anche e soprattutto ricerca del rispetto degli uomini nei confronti delle donne?
L’ottava fotografia mi fa arrabbiare: la ragazza dice che non ha bisogno del femminismo perché non è una vittima né misandrica. Io mi chiedo perché questa ragazza faccia il sillogismo secondo cui femminista si diventa solo in seguito ad una violenza sessuale subita. Un simile collegamento svuota di senso un movimento che invece ha come motore proprio la solidarietà di un genere che si porta appreso ancora mille vincoli ereditati da una storia improntata al maschilismo. La violenza subita da una donna è l’insulto all’intero genere, e in ogni caso non si parla qui di una donna ma di numeri degni di una vera e propria emergenza sociale. Ho sentito tanti, troppi ragazzi parlar male delle femministe: sminuivano così sia il femminismo in sé che le cause per cui esso si batte, e quindi, fra l’altro, le centinaia di migliaia di vittime di violenze ed abusi sessuali. Questo è maschilismo dilagante, e mi sorprende e mi affrange vedere che dilaga anche nella mente delle ragazze, perché mentre loro dicono che il femminismo non serve, è proprio qui che io credo sia più che necessario.
Più proseguo con la galleria fotografica, più mi chiedo di quale femminismo stiamo parlando: la ragazza della fotografia numero 9 non vuole che si demonizzino i ragazzi bravi e buoni. Qualcuno lo ha mai fatto? E soprattutto: davvero alla ragazza viene prima da schierarsi in favore di questi poveri ragazzi piuttosto che con le donne stuprate ed uccise da culture che un po’ più ad est di noi perpetuano il maschilismo come ordine sociale?
Sto per interrompere la visione delle fotografie quando capisco più o meno qual è il tono, ma mi trovo in accordo con la ragazza della fotografia 19 che dice “egalitarianism is better”. Okay, senzza dubbio: ma questo “egalitarianism” va raggiunto, no? E se stiamo progredendo verso questo obiettivo, non è forse proprio grazie alle pioniere del femminismo che con la loro azione ci permettono oggi tante azioni che riteniamo normali? Pantaloni, divorzio, pillole contraccettive.
Penso un attimo a me stessa: non faccio parte di nessuna associazione femminista, non taglio fuori i ragazzi dalle mie amicizie, anzi, non provo nessun tipo di astio verso il genere maschile in senso lato ma provo sì tanta rabbia verso casi singoli e verso atteggiamenti ben delineati che, questi sì, ritrovo un po’ troppo spesso anche in persone che di per sé sotto altri aspetti non reputo male. Rabbia verso abitudini secolari che gli uomini non si tolgono di dosso. Rabbia verso uomini che, come raccontavo nel mio precedente articolo, considerano la donna un semplice oggetto di piacere o da possedere, fingendo -a loro dire- di amarla e di trattarla come una principessa. Allora ripeto: o cambiano principi, principesse e reami, o io principessa non voglio proprio esserlo.
Sono femminista? Ma prima ancora chiediamoci: contro quale tipo di femminismo si stanno schierando le ragazze della fotografia?
E ancora: quale immagine del femminismo arriva alla società?
Io credo che la posizione che queste ragazze stanno prendendo, ora che la società sembrava risvegliarsi da un torpore, portando avanti campagne di informazione sulla violenza sulle donne e sul femminicidio, sia pericolosa più che mai. Che rischi di bloccare tutto perché il soggetto della campagna si ribella alla campagna stessa.
Credo di aver capito che il fastidio di queste ragazze sta nell’essere continuamente considerate come vittime, ma ritengo che sia comunque necessario mettere in luce la violenza vissuta da una parte -tutt’altro che indifferente- delle donne, urlare verità nascoste senza perdere la sensibilità, il tatto e l’accuratezza. Soltanto denunciando un passato -purtroppo ancora presente- sbagliato si può procedere verso un futuro consapevole. Nuovi diritti, nuove libertà, meno vincoli, più parità. Ma non è dimenticando che si cambiano le cose.
Credo che adesso molto spetti agli “organi” del femminismo: muoversi verso queste donne per far capire loro che il movimento oggi è il rovescio della medaglia di quello che dicono alcune di loro, che non è il femminismo iroso degli anni 70 ma un femminismo avviato, indipendente ed intraprendente contro il quale non c’è da combattere perché non è minaccia, che tutte -femministe o meno- ci auspichiamo una vita sicura, autonoma a prescindere dalle nostre scelte. Che femminismo dovrebbe idealmente essere sinonimo di essere una donna libera; ma che ora il presupposto della libertà completa non, che le femministe sono quelle donne che lottano per regalare a se stesse e a tutte le altre questa necessaria libertà.
Credo, in sintesi, che si tratti in gran parte di un problema di cattiva informazione e di fraintendimenti, di mancato aggiornamento di ciò che davvero si intende per femminismo. Ritengo io per prima che il problema principale è la mentalità maschilista, sia per le donne, che per i ragazzi e le ragazze omosessuali, che per i giovani in generale che si devono confrontare con un modello esclusivo e limitante di uomo come sinonimo di macho. Penso che molte di queste ragazze sarebbero d’accordo, vorrei chiederlo ad ognuna di loro.
Penso che negare il bisogno del femminismo e mandare avanti addirittura una campagna è un po’ come se io, che cerco di mandare avanti una vita “ecologicamente corretta” ma non sono un’attivista, mi mettessi a scrivere cartelli dicendo che non mi serve essere ecologista. Sì, ma intanto il mondo è ricoperto di rifiuti e spazzatura. E’ come se, in quanto giovane omosessuale, mi mettessi a scrivere che non mi servono i movimenti pro-gay, perché tanto siamo tutti uguali. Sì, ma intanto solo certi si sposano.
Non vi serve il femminismo? Intanto solo nel 2013 e solo in Italia 130 donne sono state uccise dalla misoginia – link QUI.
Ps. Mi ha fatto piacere leggere un articolo di Elvira Serra sulla rivista F in cui la giornalista espone un pensiero simile a quello che ho cercato di esplicare nel presente articolo. Per chi volesse approfondire la tematica, l’articolo della Serra è breve ed incisivo e va dritto al punto.