L’amore ai tempi… miei
Sto per raccontarvi l’amore ai tempi… miei, tempi che non sono quelli del colera del grande romanzo di Gabriel Garcia Marquez, anche se, volendo, non è che mi sia mancata un’epidemia di colera in passato: giusto giusto una quarantina di anni fa ce n’è stata una nella mia regione, la Puglia, e in Campania. È che io ero ancora piccola e l’amore in quel momento era uno status latente che sarebbe presto sbocciato. Ma ai tempi del colera dunque no, ancora non c’era.
Come sempre non ho pretese di verità assoluta sancita da statistiche e indagini sociologiche. Ma come in quasi tutto ciò che ho raccontato fino a qui, tratterò di ricordi, emozioni, percezioni e sensazioni di “qualche anno fa”, legate in parte a un vissuto personale e in parte a uno più generale, con un modesto confronto con quanto avviene oggi. Sempre secondo la mia personalissima e discutibilissima opinione.
L’amore ai tempi miei, dunque. Potrebbe sembrare il titolo di una poesia… Ma poi, di quali tempi stiamo parlando? Del tempo delle mele, che altro?
Cominciamo dai primi amori innocenti, quelli della preadolescenza. Sì, ci s’innamorava presto, allora. A undici anni ci si poteva già infatuare seriamente, non necessariamente di un coetaneo. Oddio, anche prima di questa età. Alle elementari, per dire, non mi mancavano i fidanzati, che si guardavano però bene dal dichiararsi e farmelo sapere.
Poco dopo sì che ho cominciato ad innamorarmi di chiunque. Dell’attore che vedevo in TV, o del divo dei fotoromanzi (e chi non s’innamorava di un certo Franco Gasparri?), o del ragazzo del bar, o del primo che mi passava accanto e mi faceva un complimento. E non era mica cosa da poco. Era amore che faceva sospirare e in alcuni casi soffrire, magari sbavare di gelosia nei confronti delle attrici che si sbaciucchiavano il mio beneamato di turno.
Era l’amore indefinito, quello che sai che può esistere ma non conosci e non sai descrivere, eppure sei sicura che c’è.
Forse undici anni sembrano pochi per parlare d’amore… d’altronde ci si fidanzava prestissimo, a quei tempi. Purché di nascosto dai genitori. Sennò, sai com’è, la cosa veniva ostacolata, liquidata, impedita, oppure ufficializzata seriamente. In ogni caso, amore era.
Oggi alla stessa età si pratica il sexting, lo scambio via smartphone o computer di foto o messaggi hard. Senza traccia di amore, solo per il gusto di farlo, per esibirsi, per cercare un apprezzamento, per sentirsi grandi. Ma quasi mai per sentimento, e se pure un’ombra dovesse esserci, viene poi buttata alle ortiche dalla diffusione in rete da parte del verme di turno che se ne approfitta.
Dove sta l’amore in questo?
Intorno ai tredici anni dei tempi miei, tra le ragazzine c’era già chi usciva con un ragazzo, di solito più grande. E mica si parlava di pedofilia. Se poi a quattordici anni non avevi ancora avuto un fidanzato poteva prenderti la grave crisi esistenziale: perché io no? Cosa hanno le amiche più di me? Perché mamma mi hai fatta così racchia? Perché la sfiga cosmica se la prende con me?
Cosa hanno le amiche più di me? Perché mamma mi hai fatta così racchia? Perché la sfiga cosmica se la prende con me?
Tutto ciò fino al momento in cui un giovane esemplare maschio si accorgeva della tua esistenza e si degnava di invitarti. E allora risplendeva il sole e lucean le stelle.
Il più delle volte questi incontri potevano avvenire con un approccio simpatico in strada, ma poi vatti a fidare di uno sconosciuto… Oppure alle festicciole in casa. Difficile che si avesse all’epoca la libertà di andare molto oltre. In questo specifico caso il giovanotto si guardava intorno, faceva una sua selezione personale della selvaggina disponibile, una graduatoria insomma, e poi cominciava i tentativi di approccio. Se quella in cima alla classifica non gli dava corda lui provava con la seconda e via via a scendere. Fino a che non si trovava la ragazzina che non chiedeva niente di meglio alla vita che poter dire: evviva, ora ce l’ho pure io il FIDANZATO!
Sì, vabbè, naturalmente prima bisognava fidanzarsi. Ed era un po’ complicato capire come questo doveva avvenire. La relazione poteva cominciare, per esempio, ballando un lento. Oh cavolo… lui con una mano sui fianchi di lei, che stringe appena, lei aggrappata al collo di lui, il cuore che va a un milione di decibel da oscurare la musica dello stereo… Chiedersi al contempo se non fosse sconveniente lasciarlo fare e intanto stringersi un po’ di più e desiderare quel benedetto primo bacio che si aspetta da una vita.
Ballare un lento? Non è per ricalcare lo spot con Fiorello per un’azienda telefonica, ma era proprio così che si faceva. Un ballo lentissimo, abbracciati, come in discoteca oggi forse nemmeno immaginano. E riuscire a parlare sottovoce nonostante la musica, quando si trovava il coraggio di parlare, sentire il profumo dell’altro, e bastava che fosse odore di pelle pulita e saponetta per andare in estasi, non servivano essenze costose.
Le feste si tenevano in casa, appunto, con i genitori a sorvegliare più o meno discretamente, in un orario pre-serale o serale, e non finivano mai tardi.
Se penso che oggi i genitori portano le figlie ragazzine in discoteca e le vanno a riprendere a orari mattutini, provo ancora un senso d’incredulità. Io da quindicenne in discoteca ci sono andata due volte con la mia più cara amica e le sue sorelle più grandi, e l’orario era dalle diciassette alle venti o giù di lì. La terza volta non ci sono più andata perché alla seconda ero arrivata a casa alle ventuno. E questo ha segnato la fine della libertà.
Ma non divaghiamo, stavamo parlando di amori.
Amori precoci dunque. E nascosti il più possibile. I genitori di regola non è che facessero i salti di gioia se lo venivano a sapere. Qualcuno lo accettava come normale, ma si prendeva il tutto seriamente, il ragazzo doveva venire in casa, farsi conoscere, bisognava conoscere anche la sua famiglia che doveva essere rispettabile. E quand’era così, se da un lato finiva l’ansia di trovare angoli appartati e improbabili scuse per uscire, dall’altro terminava anche quel poco di libertà che una ragazzina poteva avere a quei tempi. Volete vedervi? Lo fate qui, sotto i nostri occhi. Uscite? Meglio se accompagnati dal fratellino/sorellina piccolo/a. E non si poteva restare soli in casa, assolutamente sconveniente e “pericoloso”, dal punto di vista di eventuali fattacci che potevano accadere. Che di per sé sarebbe stato già una tragedia, se accadevano in casa Dio santo, cosa si diceva alla gente?
Oggi invece il segreto nel fidanzamento quasi non esiste più: sento di coppie di neo-fidanzati, anche giovanissimi, che restano volontariamente a casa e si chiudono in camera ignorando tutti gli altri componenti della famiglia. I quali magari, non sapendo come comportarsi per non disturbare e un tantino imbarazzati da una presenza non presenza, che c’è ma non c’è, provano a spingerli gentilmente ad andare a farsi un giro; così, giusto per riprendersi i propri spazi e stravaccarsi sul divano in mutande, se necessario, o comunque secondo le proprie abitudini che con un ospite in casa più o meno fantasma non si possono mantenere. Altro che costrizione a restare a casa! Qualcuno ricorderà i vecchi film che riportavano la buffa situazione, nei tempi ancora più remoti dei miei, dei due fidanzati che sotto gli occhi attenti della famiglia non si potevano nemmeno toccare la mano. No, non sono i miei di tempi, lo ripeto. Però…
Per tornare ai nostri moderni innamorati, spesso non raccolgono l’invito e allora per disperazione sono i genitori che se ne vanno. Una pizza, un cinema, una passeggiata in centro: basterà tutto questo tempo che gli abbiamo lasciato? Interrompiamo qualcosa se torniamo a quest’ora?
Eh già, perché c’è anche il problema, c’è sempre stato, di come porsi con le prime esperienze sessuali dei figli.
Una volta era semplice: erano assolutamente vietate. Ragione per cui, come si diceva, quando il rapporto era ufficiale, la coppia era più o meno guardata a vista. E questo anche se non si trattava più di preadolescenti, ma di adolescenti che presto sarebbero diventati maggiorenni. E non che la maggiore età in alcuni casi significasse maggiore libertà. A volte la sorveglianza durava fino al matrimonio. E difatti ci si sposava molto presto, intorno ai vent’anni; a venticinque eri già in ritardo.
Ho il ricordo di un’amica sposata a quindici anni. No, non era una musulmana, o una zingara, o un’indiana. Era italiana, e aveva scelto il matrimonio tanto presto per sfuggire a una situazione familiare difficile. Lo sposo aveva ventisette anni. Era dunque “vecchio” ma di certo non era un pedofilo, bensì una persona serissima. Per sposarsi era stata necessaria la dispensa del vescovo. Mi chiedo ora, dopo tanto tempo, come sarà andata a finire quell’unione che oggi sarebbe impensabile.
Della vita sessuale dei figli i genitori di norma non ne vogliono sapere, e tutto sommato anche oggi non è cambiato molto in merito. A seconda delle latitudini, tuttavia, qualcuno si fa coraggio e spiega per tempo la faccenda a ragazzi in età prepuberale, per come ci riesce, abbandonando finalmente il concetto dell’ape e dei fiori e dei bambini trovati sotto il cavolo. Ma è ancora dura. Meglio se si arrangiano da soli. Così che poi finiscono prede di individui amorali che adescano sul web minorenni con poche e confuse idee sull’argomento.
Invece una volta le ragazze restavano semplicemente incinta.
Ai tempi una cosa era chiara: le ragazze non dovevano fare esperienze, perché non stava bene, diventavano poco di buono.
Ai tempi una cosa era chiara: le ragazze non dovevano fare esperienze, perché non stava bene, diventavano poco di buono. I ragazzi invece potevano farle, tanto loro erano maschi, si sa, la cosa era diversa. I conti ovviamente non tornano: se le ragazze non potevano, ma i ragazzi sì, come diavolo si faceva? Naturalmente, salvo casi non sporadici in cui si voleva volontariamente arrivare intatti al matrimonio, si faceva lo stesso. Però non così presto come si potrebbe credere: qualche volta prima della maggiore età, ma non di molto. E sempre con quello che sembrava il partner della vita. Che se poi non funzionava, ahimè, era una tragedia immensa per le ragazze, che si ritrovavano a pensare di “essersi sprecate” anche se con le amiche non lo avrebbero mai ammesso. Perché ci si concedeva per amore e dopo molti ripensamenti e brancicamenti.
Io credo che questi batticuore e questi giochi di fidanzamento oggi non avvengano, o non avvengono allo stesso modo. La possibilità che i giovani hanno di fare esperienze senza proibizioni fa sì che si tolga il gusto del proibito, tanto quasi tutto è permesso. Forse i genitori sono più contenti così, perché oggi dietro un segreto ci può essere un orco orrendo, ma mi chiedo se i ragazzi sanno cogliere il bello e il valore di un rapporto, dalla fase del corteggiamento, più o meno timido, ai primi approcci fisici, magari in una strada buia e complice nella macchina prestata dall’amico, alle prime lacrime di delusione per quanto non è andato come si desiderava. Molte di queste vicende avvenivano nel segreto, condiviso al massimo con le pagine di un diario o con il cuore dell’amicizia più cara.
Se tutto avviene alla luce del sole, spesso sulle pagine dei social a beneficio pure di mamma e papà, avrà ancora lo stesso sapore?