Non chiamateci principesse!
Sono tornate in voga le rivisitazioni delle favole Disney o l’uso dei loro personaggi per definire l’attuale condizione delle donne. Se ne sono fatte tante, di campagne ricalcate sul mito dell’ “e vissero felici e contenti” alla Disney, al punto che la mia repulsione per le principesse si è rinnovata. Chiaramente, non solo per colpa delle suddette campagne, anzi.
Di recente mi cerca un ragazzo che conosco per raccontarmi la disavventura che lo ha afflitto negli ultimi giorni. Preoccupata, gli rispondo subito incitandolo a spiegarmi cosa lo tormentasse. In men che non si dica, ne vien fuori un discorso del tipo “la mia migliore amica è andata con un poco di buono che se la vuole solo scopare, io glielo avevo sconsigliato in tutti i modi, io l’ho sempre protetta e trattata come una principessa; ero il suo migliore amico, da quattordici anni era come se fossimo marito e moglie, andavamo sempre d’accordo su tutto, io l’ho sempre consigliata e sono sempre stato accanto a lei, era la mia fanciulla ed ecco che ora ha spezzato il mio cuore e distrutto il mio onore, è finita come una vera e propria puttana”.
Ascolto il ragazzo senza dire una parola. Ora: come muoversi? Come dire al ragazzo, con cui non ho la confidenza necessaria per parlare in tutta franchezza, che il suo ragionamento è assurdo alla base, che una donna è libera di scegliere, che non è una pedina del mentore -amico o chi per lui- di turno, che se il parere che si ha di lei cambia dal reputarla principessa al definirla puttana in un batter d’occhio non vedo in che punti il suo migliore amico si possa discostare dal tipo dall’aria losca che le ha fatto avances spinte? Provo a parlare con il ragazzo senza peli sulla lingua, continuando a chiedermi perché avesse scelto di parlare del fatto proprio a me con cui non aveva un briciolo di confidenza pregressa, facendomi forte del fatto che forse era giusto restituire attraverso un parlare franco la confidenza datami. Mi sono sentita un po’ una di quelle donne che hanno rubriche sui giornali a cui scrive un po’ chiunque abbia problemi che più sono assurdi e meglio è. Con quel ragazzo ho condiviso dieci giorni di vita all’estero, tante attività di gruppo, pasti di gruppo, feste di gruppo e aveva tutta l’aria di essere un ragazzo riservato, timido, tranquillo.
Salvo il fatto che dalle sue labbra uscì la frase che interruppe un mio discorso sulla tutela delle donne. E la frase era la seguente: “sì ma aspetta un attimo: se si mettono le minigonne e poi le stuprano è colpa loro”. “Se vai a correre senza maglia ti è mai capitato di temere di essere stuprato?”, ho risposto io. Ha taciuto. Mi chiedo se è forse per questo che il ragazzo ha cercato proprio me, ma visto il suo rimanere attaccato ad una visione così maschilista delle cose mi trattengo dall’essere troppo ottimista circa l’evoluzione del suo modo di pensare. Mi si fa poi l’ipotesi che forse il ragazzo fosse semplicemente innamorato della ragazza. Bene: ammesso e non concesso che fosse così, che amore è quello che porta a dare della puttana ad una ragazza che fa scelte che una ragazza libera e cosciente delle sue azioni deve poter fare?
Il fatto è che il ragionamento bacato è assolutamente interiorizzato, come interiorizzata è l’idea che la donna sia un oggetto. Citerò qualche frase qua e là dell’articolo di Robin Korth uscito poco tempo fa sull’Huffington post –leggilo qui-. La donna si è sentita dire, da un uomo conosciuto in chat, che il suo corpo non la eccitava, che era abituato alle ragazze giovani, che avrebbe dovuto vestirsi come un’adolescente e che soltanto così sarebbe tornato tutto normale, la sua eccitazione di nuovo alle stelle. Detto con le parole della Korth stessa:
“On Monday evening over the phone, I asked this man who had shared my bed for three nights running why we had not made love. “Your body is too wrinkly,” he said without a pause. “I have spoiled myself over the years with young women. I just can’t get excited with you. I love your energy and your laughter. I like your head and your heart. But, I just can’t deal with your body.”
Crudele è la maniera con cui la donna descrive i tentativi dell’uomo di farla oggetto, di renderla Barbie.
“He spoke of special stockings and clothing that would “hide” my years. He blithely told me he loved “little black dresses” and strappy shoes. He said my hair was not long and flowing as he preferred, but that was okay because it was “cool looking.” I felt like a Barbie Doll on acid as I listened to this man. He was totally oblivious to the viciousness of his words. He had turned me into an object to be dressed and positioned to provide satisfaction for his ideas of what female sexual perfection should be.
He explained that now that I knew what was required, we could have a great time in the bedroom. I told him no. I would not hide from my own body. I would not wear outfits to make my body more “tolerable.” I would not undress in the dark or shower with the bathroom door closed. I would not diminish myself for him — or for anyone. My body is beautiful and it goes along with my mind and my heart. “
Ma il peggio arriva alla fine. La totale incoscienza di chi fa questo tipo di male. Robin Korth infatti descrive la reazione dell’uomo al suo allontanamento in seguito a quelle richieste assurde circa l’abbigliamento:
“When I told Dave that I never wanted to see or hear from him again, he was confused and complained that I was making a big deal out of nothing.”
Nothing: la dignità femminile è un “nothing”, nelle parole di quest’uomo e di molti altri.
Allora, se queste sono le conseguenze di essere considerata una principessa, se questo è il prezzo per sentirsi attraenti nei confronti del partner, a me non sta bene. Se la donna deve diventare altro da sé per regalare piacere ad un partner, a me non sta bene. E’ capitato anche a me di sentirmi dire, sotto forma di consiglio, da una persona che frequentai nella primissima gioventù, la maniera in cui avrei potuto vestirmi per -forse- valorizzarmi: la mia reazione bastò a far sì che l’evento non si replicasse. Ora, lontana da ogni femminismo ideologico ma vicina ad un pensiero quotidianamente e concretamente fiero del mio essere donna, mi sento di gridare l’inno di qualche decennio fa: “io sono mia”. Perché litigo con mia mamma quando spera di vedere uomini che regalano fiori ed offrono cene galanti, perché lei vede galanteria ed io giochi di potere, di proprietà, compravendita dove lei vede corteggiamento. Perché chi offre la cena e regala rose per semplice inesplicata galanteria si sentirà probabilmente autorizzato a chiedere alla donna di vestirsi secondo una volontà imposta, perché controllerà mille altri aspetti della sua vita, le sue frequentazioni, vedendola come uno fra i tanti oggetti di sua proprietà, forse quello al cui possesso è più legato. E allora ogni volta che vedo mia mamma sognare atti di galanteria fine a se stessa io ci discuto perché o cambiano principesse, principi, reali e reami, o io principessa non voglio proprio esserlo.