Gli effetti del potere
Gli uomini di potere ispirano sempre una certa autorità. Siano da noi etichettati come “buoni” o “cattivi”, è come se avessero sempre attorno una sorta di aura che ispira un misto di sensazioni anche contraddizione tra loro, come il rispetto, il disprezzo, l’autorevolezza o la cattiveria. Il problema dell’uovo e della gallina pare essere onnipresente, così mi sono sempre chiesto se certe caratteristiche fossero necessarie per diventare un leader, un uomo di potere, o se sia proprio il fatto di occupare una posizione di potere a farle nascere negli individui, cambiandoli. Di certo le caratteristiche personali (come il carisma e le abilità comunicative) giocano la loro parte, neanche poco importante, ma sento di poter tranquillamente sorvolare su questo punto trovando l’altro versante diabolicamente più affascinante.
Nel 1971 il professor Philip Zimbardo, psicologo e docente presso la Stanford University, mise in atto un esperimento passato ormai alla storia – dal quale hanno tratto anche alcuni film come The Experiment – che intendeva indagare il comportamento degli individui in una situazione in cui la loro identità era definita solamente dal loro gruppo di appartenenza. Veniamo ai fatti: si gioca a guardie e ladri. Zimbardo e i suoi collaboratori allestirono il seminterrato dell’Istituto di psicologia della Stanford University ricreando fedelmente l’ambiente di un carcere e, grazie ad un annuncio pubblicato su un quotidiano, reclutarono ventiquattro studenti – nota bene: i più “equilibrati” tra i settantacinque che si erano proposti – ai quali furono assegnati casualmente i ruoli di guardia o di prigioniero.
Ve lo dico da subito, dopo sei giorni l’esperimento fu sospeso. Ma andiamo avanti col racconto.
Le celle erano di due metri per tre e ognuna occupava tre prigionieri. I prigionieri indossavano delle divise con un numero, davanti e sul retro, avevano un berretto di plastica e una catena alla caviglia. Le guardie avevano un’uniforme, occhiali da sole riflettenti (affinchè non gli si potessero vedere gli occhi), un manganello e delle manette. Alle guardie non fu detto nulla sui metodi da utilizzare per “mantenere l’ordine”, erano a loro totale discrezione. Tutto sarebbe potuto andare liscio, eppure bastarono due giorni per vedere i primi segni di violenza: i prigionieri si barricarono nelle celle, si strapparono le divise e si rivoltarono contro le guardie, le quali reagirono non solo con la forza, ma cercando di disgregare il gruppo attraverso le peggiori umiliazioni.
I prigionieri furono costretti a cantare canzoni oscene, a defecare in un secchio che non avevano il permesso di svuotare, a pulire le latrine a mani nude. Uno scenario agghiacciante che si avvicina ai peggiori scenari di guerra. Eppure questo era solo un esperimento. Al quinto giorno i prigionieri erano totalmente sconvolti emotivamente, la loro personalità disgregata, erano diventati docili e passivi. Questo costrinse Zimbardo ad interrompere l’esperimento
Con questo esperimento però riuscì a dimostrare qualcosa di molto significativo: aderendo totalmente ad un ruolo istituzionale, quale quello di esercitare il controllo su delle persone in una prigione, il comportamento delle finte guardie era guidato esclusivamente dalle norme e dalle regole di quell’istituzione stessa. In questo modo – complice anche una serie di elementi di contorno quali la divisa e gli occhiali scuri – si verificava in loro una perdita di responsabilità personale, una riduzione del senso di colpa, della vergogna e di tutte quelle cose che ci frenano dal mettere in atto comportamenti distruttivi, e tutto questo perché le proprie azioni non venivano più riconosciute come proprie ma come “azioni di gruppo”, come a dire “mal comune mezzo gaudio”
Questo mi fa riflettere molto. A questo punto non sui singoli uomini di potere, che per quanto siano influenzati da una serie infinita di equilibri e interessi in un certo senso sono anche esposti in prima persona. Mi fanno paura gli altri. Quelli che non hanno un nome, quelli che sembrano tutti uguali e che, a quanto pare, in un certo senso possono diventarlo. Quelli da cui non puoi scappare, quelli contro i quali nessuno ti crederebbe, quelli che hanno le spalle coperte dal branco. Quelli sì, mi fanno davvero paura.
Durante la guerra in Iraq i militari statunitensi torturarono i prigionieri iracheni nella prigione di Abu Chraib. Le immagini delle sevizie e delle umiliazioni, diffuse dai media, erano drammaticamente simili a quelle prodotte dall’esperimento Zimbardo.