Ma cos’è questa smania dello Speed Reading?
Libri, volantini, corsi: se le sono inventate tutte per garantire che la lettura rapida sia di facile apprendimento e che possa fruttare molto a chi la pratichi.
Questo articolo vuol dichiararne l’inutilità nella stramaggioranza dei casi. E non è una dichiarazione affrettata, non è un pregiudizio, non è la frase idealista di una sognatrice. Parla una che inconsapevolmente per quel tipo di lettura c’è passata, ci è scivolata poco a poco, fra un manoscritto letto per una casa editrice ed uno per l’autore amico che ti chiede se per favore puoi presentare il suo lavoro fra due settimane alla libreria Taldeitali, fra un manuale universitario ed un libro che incuriosisce ed uno appena comprato, la poesia e la pièce teatrale, la bozza del manoscritto a cui si lavora a più mani e che va consegnata al più presto all’editore. Letture che si accumulano, tempo che si restringe: il passo dalla lettura di piacere ad uno speed reading obbligato è breve.
Mi vantavo un tempo dei libri che riuscivo a leggere in un anno. Lo ricordo: avevo la vertigine al solo pensiero delle pagine che non avrei potuto mai leggere. Non quelle brutte -sì, mi permetto di usare la parola “brutto” parlando di scritti- , non quelle dell’autoruncolo a pagamento, del vanaglorioso con il manoscritto nel cassetto, no: rimanevano comunque miliardi di testi più che degni di nota che io non avrei forse neanche mai stretto fra le mani.
Poi però ho pensato che i libri si incontrano per strada un po’ come le persone, e come le persone se ne possono incrociare tanti ma poi sono pochi quelli che rimangono dentro e accanto a lungo. Ho pensato che non conoscerò mai tutte le persone di questo mondo ma ciò non mi blocca di fronte al desiderio di conoscerne sempre di più né tantomeno mi fa salire il senso di vertigine all’idea della mia limitatezza. Immagino sorridendo le mie urla di terrore: “Aiuto, a causa della sovrappopolazione non mi basterà una vita per conoscerli tutti!”
Ritorno con il pensiero a quel motto socratico che fu leit motif del primo anno di filosofia al Liceo: io so di non sapere. E so anche che non potrò mai sapere tutto.
Perché quindi impazzire a costo di perdere il gusto della lettura per poter poi un giorno gloriarsi di aver divorato manuali su manuali? Perché sforzarsi di raggiungere il temibile status di biblioteche ambulanti, nietzschianamente parlando? Perché non sostituire il bisogno di leggere di fretta ad un accorciamento progressivo del tempo che dedichiamo a scrollare le bacheche facebook dai nostri smartphone o tablet? Vorrei riuscire a farlo anche io.
Ma leggere ingoiando, no: giammai.
Se è vero che, soprattutto per quanto riguarda tanti tomi ottocenteschi, classici di quelli da fare un respiro profondo prima di cominciare a leggerli, alcune volte è più che comprensibile optare per la lettura orientativa che lasci emergere i punti di snodo narrativo rilevanti, la lettura veloce fine a se stessa non fa che trasmettermi angoscia. Un po’ come quella storia di cui parlò tempo fa Internazionale, la proposta di leggere un libro a settimana. Se lì per lì fui tentata di accogliere la sfida, adesso mi viene spontaneo un solo commento: “americanata”. Non per niente il signor Julien Smith, che l’ha proposta, è di quelle parti.
Concludo portando l’esempio di varie persone che conosco, prototipo di una categoria che noi persone con gli occhiali col bordo nero conosciamo fin troppo bene e giudichiamo fin troppo male. E’ l’esempio di Geronima, nome di fantasia -per fortuna- , a cui piace leggere e lo dice sempre e lo dice a tutti e se le chiedi cosa le piace fare ti dice subito che le piace leggere e tu lì per lì ci caschi e poi le chiedi cosa legge e ti dice Jane Austen o ti dice le sorelle Bronte o ti dice un autore sconosciuto con il nome americano che ha scritto di certo qualche libro da cui hanno senz’altro tratto una commediola romantica. E lì tu provi ad insistere, a chiedere se conosce Cortazar se ha letto Calvino se le piace Wallace se Bolano sa almeno chi sia e poi Manuelpuig Giorgiovasta Raimondcarver Chiaravalerio Williamburroughs Rolandbarthes boh, chessoio, ti prego almeno uno di questi lo conoscerai diavolo?!
Lei ti interrompe e dice di aver davvero apprezzato la rilettura di Oscar Wilde, ti chiede se hai visto l’ultimo aforisma che ha linkato su Facebook. Stai per mandarla a quel paese. Ma lei torna alle Bronte, ti cita un passo esatto evocante romanticherie da te dimenticate -tu che mastichi soltanto cinismo a colazione pranzo e cena- te lo cita e tu pensi alla tua ex-ragazza a cui ieri non hai saputo esprimere quella cosa strana che avevi dentro, quelle scissioni strane e così intime, perché sei bulimico di cinismo e perché leggi i libri ma non li trattieni dentro perché li presenti li recensisci li mandi giù e li dimentichi.
La ragazza frivola declama:
« Se tutto il resto perisse e lui restasse, io continuerei ad essere; se tutto il resto persistesse e lui venisse annientato, l’universo mi diverrebbe estraneo; non mi sembrerebbe di esserne parte. Il mio amore per Linton è come il fogliame dei boschi; il tempo lo muterà, lo so bene, come l’inverno muta gli alberi. Il mio amore per Heathcliff è simile alle rocce eterne ai piedi degli alberi; fonti di poca gioia visibile, ma necessarie. Nelly, io sono Heathcliff – lui è sempre, sempre nella mia mente, non come un piacere, così come io non sono sempre un piacere per me, ma come il mio stesso essere; dunque, non parlare ancora di una nostra separazione; è impossibile.»
Tu taci e ti prometti di non leggere più un libro se non hai la certezza che ti cambierà, foss’anche in minima parte. Ti giuri che se ti chiedono di presentare un libro valuterai bene di non affiancarlo ad altre letture, soppeserai il tempo, leggerai la sera nel letto o quando sei sui mezzi, dedicando alla lettura ogni attenzione e non soltanto una serie di attimi fugaci. Ti imponi di non leggere mai se a spingerti non c’è una disarmante, semplicissima e potentissima curiosità, nessuna angoscia, nessuna vertigine.
Me lo ha detto da subito, la persona a cui dedico questo articolo -no, non è Geronima-, che non ha senso quanto leggi ma cosa, come e in che momento della vita. Senza dubbio, come molte altre volte, ha ragione.
I libri davvero importanti della mia vita continuano ad essere ridotti a 10-15 testi che spaziano dal teatro alla narrativa, dalla poesia alla saggistica.
Per dirla con Verlaine,
Et tout le reste est littérature.