Amore nella vita e nell’arte
L’amore non si insegna, al massimo si può osservare e fare tesoro degli esempi ricevuti.
E’ quello che posso dire di aver fatto io, guardando l’amore costruito giorno dopo giorno dai miei genitori. Si sposarono il 15 luglio del 1968, contrastati fortemente da mio nonno, padre di mia mamma, dopo sette anni di fidanzamento. Non era contrariato perché il mio papà fosse un cattivo ragazzo. Semplicemente non voleva che le sue figlie si sposassero, e giurassero amore eterno ad un altro uomo, diverso da lui.
Nonostante i tanti ostacoli, i miei genitori continuarono ad amarsi e decisero di andare contro il suo parere, sapendo che non avrebbero mai avuto la sua benedizione. Capitava spesso in quegli anni. Accadeva che molte giovani coppie dovessero fare la cosiddetta “fuitina” per poi essere inevitabilmente portati all’altare per salvare la faccia. Ma i miei non scapparono.
La mattina delle nozze mia mamma dovette prepararsi a casa di sua nonna, senza avere la gioia della presenza di sua madre, che era stata obbligata a rimanerne fuori. Ma parenti e amiche andarono ad aiutarla. Il vestito, semplice ma elegante, era stato cucito da una sartina del paese. All’acconciatura, un semplice semi raccolto, provvide il parrucchiere di fiducia, che non aveva pretese di compensi assurdi come oggi. Al trucco invece ci pensò proprio mia mamma, naturale come sempre.
In tutto ciò mio padre, figlio unico di madre vedova, non stava più nella pelle. Chiunque altro magari avrebbe detto a quella ragazzetta di trovarsi un altro pretendente disposto a rischiare di mettersi contro Don Ciccio. Invece no, lui l’amava tanto. Eppure era molto richiesto, forse anche perché all’epoca era pianista e cantante di un gruppo. Certamente non gli mancavano possibilità più semplici. Ma alle altre non era interessato. Voleva proprio lei, la maestrina dai capelli corvini che gli aveva fatto perdere la testa.
Dunque il matrimonio si celebrò.
Mio nonno, per dimostrare la sua forza e indifferenza, andò a sedersi al bar proprio di fronte alla chiesa della piazza, battendo nervosamente sul tavolino una Coca-Cola. A un certo punto degli amici di mio padre lo convinsero “gentilmente”, cioè di peso, ad andare via, cercando di evitare sceneggiate.
Così fece.
L’Ave Maria risuonava nella chiesa, e tutto il paese incuriosito andò ad assistere allo scambio di promesse di quei due caparbi innamorati.
Per qualche anno mio nonno, orgoglioso come era, mantenne ancora il punto, non rivolgendo la parola a entrambi, né perdonando l’affronto subito. Fino a che, un bel giorno, decise di permettere alla figlia di andargli a fare visita. Mio fratello aveva poco più di un anno e mia sorella era appena nata. Pensate che testardo doveva essere. Mia nonna, santa donna, diede il via libera alla figlia e da quel giorno fu come se mai nulla fosse accaduto tra loro. Anzi, con mio padre ebbe sempre un bel rapporto, fatto di rispetto e stima. Sapeva che era un ragazzo onesto e lavoratore, che per costruirsi un futuro serio aveva deciso di lasciare il mondo della musica, per un lavoro d’ufficio noioso, ma certamente più sicuro. In fondo non era così cattivo e duro come voleva sembrare, Don Ciccio.
Una splendida opera mi viene alla mente: Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello Sanzio (1504, Pinacoteca di Brera, Milano).
Raffaello, appena ventunenne, ha già una notevole attività alle spalle. A Città di Castello, a Perugia, in un’area di stretta influenza anche stilistica del Perugino, con il quale le sue prime opere presentano un rapporto diretto, egli mostra di essere da subito orientato verso approfondimenti di struttura spaziale e formale. Tutto ciò si evince dal confronto fra lo Sposalizio della Vergine, dipinto per la chiesa di San Francesco di Città di Castello e oggi a Brera, e la pressocchè contemporanea versione peruginesca del tema per il Duomo di Perugia oggi a Caen.
Raffaello realizza il dipinto su tavola su commissione della famiglia Albizi ed è raffigurante appunto lo Sposalizio della Vergine. L’opera, che misura 170 x 117 cm, fu eseguita per la Chiesa di San Francesco a Città di Castello e si trova oggi nella Pinacoteca di Brera a Milano. Un grande tempio circolare con cupola, contornato da un immenso cortile, è presentato sullo sfondo; la prospettiva è sottolineata dalla griglia della pavimentazione della piazza, a strisce rettangolari. L’intento del giovane artista è di dare organicità a tutto lo schema collegando il primo piano con lo sfondo. Raffaello sottolinea le linee di fuga rappresentate dalle strisce di marmo bianco del pavimento che convergono verso il punto di fuga situato al di là della porta del tempio. In primo piano avviene l’episodio evangelico: al centro il sacerdote tiene le mani di Giuseppe e Maria che si scambiano gli anelli. Giuseppe piega il busto e la testa verso destra ed ha il piede sinistro leggermente avanzato. Tutti i personaggi sono caratterizzati dall’eleganza degli abiti e dall’armonia delle posizioni. Raffaello sposta più indietro il tempio, rispetto al Perugino, accentuando lo spazio con le figure in modo che l’edificio non appaia massiccio e imponente. Questo, a pianta centrale, è a base ottagonale e la porta aperta fa intravedere il paesaggio al di là. Sulla destra sono raffigurati degli uomini: tra essi si nota la figura di un giovane che spezza il bastone (secondo un antico rito matrimoniale propiziatorio). L’effetto di grazia che contraddistingue le figure di Raffaello è molto evidente. A sinistra, invece, sono raffigurate delle giovani donne che appaiono pacate e dolci.
Un matrimonio certamente tra i più importanti della storia. Proprio come importante è per me il matrimonio dei miei genitori.
Da quel 15 luglio del 1968, in questi quarantasei anni di unione, hanno saputo creare una splendida famiglia, con ben quattro figli (di cui l’ultima è proprio un capolavoro, modestamente!), che sono cresciuti nell’amore e nel rispetto reciproco da loro insegnato. Esempio più significativo non potevano donarci.
Ci sono sempre accanto, uniti da un amore indissolubile e meraviglioso. Anno dopo anno, la loro storia si fortifica e dà un senso profondo alla parola “famiglia”.
Grazie mamma. Grazie papà.
Buon anniversario.