Sono un’opera d’arte
Sono un’opera d’arte e non mi riferisco ad un’opera d’arte qualsiasi. Il mio autore si chiama vita e con i suoi mezzi e strumenti (un po’ perversi) ha delineato la mia figura. Come lo scultore con un pezzo di argilla grezza, il tempo sta tracciando solchi sulla mia pelle; come un pittore davanti alla sua bianca tela, gli eventi stanno lasciando macchie colorate o di un nero profondo nel tessuto della mia persona. In continua creazione, la vita si adopera per ricordare che è lei l’artista, è lei che decide che forma avrò alla fine e come e quando finire il suo operato.
No, mal pensatori! Non c’entra l’egocentrismo, tanto meno la grande autostima che da secoli manca nella trama di quest’opera. Non faccio certo riferimento a fisici scultorei e occhioni rotondi che catturano l’obiettivo. Di 90 e 60 nella mia scheda tecnica ho solo la pressione sanguigna e poco importa se la forma a clessidra non vuole saperne di uscire da questo tronchetto di carne umana e ossa.
“La vita, mi dice essa stessa, non c’entra con l’apparenza. L’estetica, aggiunge, è una stronzata inventata da coloro che non hanno voluto farsi scolpire dai momenti che io stessa creo per loro. Tu hai lasciato che io decidessi per te quando sono entrata violentemente a far parte del tuo essere, quando faticavi ad uscire dal cerchio originario e quasi quasi mi perdevo l’occasione di diventare l’autore di quest’opera che non posso smettere di battere. Ci provo e riprovo da ventinove anni. Ti ho fatto passare momenti perfidi e neri, continuo sempre a ricordarti che sono io a scolpirti a mio gradimento tramite schiaffi in pieno viso, quando meno te lo aspetti. Sei un’altra mia opera d’arte. Poi, che Megan Fox mi sia riuscita meglio, non c’è dubbio, ma con te mi sono concentrata sulla parte interiore”.
Cara vita, non mi sarei offesa se anche a me, come a Megan Fox, avessi regalato la custodia di marca, ma in fin dei conti, io le marche le schifo, quindi va bene così. Io non ho i polsi stretti, le ossa fragili, il fare elegante o l’atteggiamento da milady. Non molto tempo fa qualcuno diceva avessi un “caratterino”, parlando di me con altre persone. Qualche anno or sono, qualcun altro aveva pure confessato di aver espresso il pensiero “secondo me se ti dà uno schiaffo ti stende!” per il mio modo di far sempre valere le mie idee e le mie convinzioni. Poco fa un’amica mi aveva anche descritta come un treno che non si ferma mai, che non guarda chi le sta davanti e continua sulle sue rotaie perdendo forse anche di vista la parte “vulnerabile” di chi le sta attorno. Sono un uragano e lo devo a te. Nel bene e nel male mi convinco di essere un’opera d’arte e mi va bene così. Anche l’urinale è riuscito nel suo piccolo a diventare opera d’arte, perché non potrei esserlo io? Se ciò che viene creato è considerato come nell’antichità classica, tèchne, cioè il prodotto dell’abilità e dell’esperienza manuale dell’artista, l’imitazione della realtà e delle immagini formate dalla fantasia di chi crea, allora io lo sono a pieno titolo. Senza poi approfondire che la denominazione “opera d’arte”, entra nell’uso corrente alla fine dell’ottocento mantenuta sino ad oggi ed intende designare un manufatto contraddistinto da specifiche caratteristiche, quali il significato di linguaggio, il valore estetico, il carattere individuale e spirituale oltre alla materia. Meglio di così? Praticamente sono io. Siamo noi. Sono tutti quelli che come me hanno lasciato che la vita li modellasse.
Ci sono anche coloro che la vita invece la prendono in mano e la schiaffeggiano. Oppure quelli che non si rendono nemmeno conto esista. La danno per scontata, ovvia, svalutandola ad ogni gesto e in ogni occasione in cui qualcosa di inutile diventa più importante, mettendola in secondo piano.
Quindi sì, sono un’opera d’arte e posso piacere o meno. I critici mi valuteranno e troveranno il buono e il cattivo. Ci saranno addirittura estimatori che vorranno possedermi, non come coloro che ti comprano e poi ti cedono alle varie mostre mantenendo di te solo la fattura d’acquisto, o quelli che in mezzo a tante altre opere d’arte ti osservano solo di tanto in tanto. Vorranno avermi con loro tutto il tempo. Osservarmi, guardarmi evolvere mentre la mia creatrice continuerà a lasciare segni, e con il passare del tempo acquisirò sempre più valore.
Le opere d’arte però si sa, spesso e volentieri sono fraintese, non sono capite, spesso svalutate, talvolta disprezzate anche da coloro che possono intendersene o meno, e soprattutto passano inosservate fino a quando qualcuno punta il faretto su di loro. Essere un’opera d’arte è un peso. Ha un prezzo che non viene mai ribassato. Ti fa rimanere lì, chiusa in una scatola in attesa di uno scopritore, dopo essere passata per le mani di altri che ti hanno osservata tenendoti davanti a loro, poggiandoti al muro, con una mano che sorregge il mento e l’altra che punta a caso. “Hmm, no” diranno. Oppure sotto una bella luce ti guarderanno con occhi diversi da quelli che ti definiranno quando la cara dolce vita deciderà di mostrarti loro al buio, e lo fa spesso. Al buio non ti riconosceranno e penseranno che non sei come pensavano. Penseranno che ciò che li attraeva prima ora sia scomparso, che qualcosa si sia rotto, che tu sia difettosa. Nessuno vuole un’opera d’arte rotta. In realtà sei solo nascosta dal buio. Ma loro che saranno andati a cercare altra luce, non lo sapranno.
La dura legge delle opere d’arte. Quelle che a volte vanno anche restaurate, e adesso tocca a me.