Le tante difficoltà della vita
A tutti capitano delle difficoltà.
Le difficoltà fanno parte della vita.
Motivi di salute, più o meno seri, problemi lavorativi ed economici, stress dovuto a varie vicissitudini che la vita porta a dover affrontare.
Periodi neri toccano un po’ a tutti, nessuno escluso.
La cosa importante però è saperli tenere sotto il livello massimo di negatività. Certo non è sempre semplice. Ognuno ha il suo modo di reagire ad un periodo buio. La soluzione migliore e consigliabile sarebbe quella di continuare a sperare che presto passerà e che si tratti solo di una breve parentesi non proprio carina che la vita ci ha riservato.
In più, si dice che sono questi imprevisti che ci fortificano e ci rendono migliori. Mi piacerebbe sapere chi è che ha messo in giro per la prima volta questa castroneria.
Nessuno può inizialmente prendere bene una brutta notizia o un contrattempo. Al massimo, strada facendo, riesce a non strapparsi i capelli da testa, e prova a farsene una ragione. Ma trovo pure giusto dare sfogo libero ad un po’ di frustrazione. Non siamo di ferro.
Superata poi la fase down, bisogna rimboccarsi le maniche e tranquillizzare la mente. Per essere più forti non si deve far altro che aspettare il momento topico della fine di questa brutta fase e godersi la vittoria, il cessato pericolo. Sì perché poi, a tutto c’è rimedio e soluzione. Anche quando ogni ostacolo sembra una montagna da scalare.
Adda passà a’nuttata diceva Eduardo. Ed è proprio così. Tutto passa prima o poi. Sembrano frasi fatte, dette e ridette, ma nessuno è riuscito a smentirle. Sono saggezze tramandate per dare forza a chi per un po’ ha perso la tranquillità.
Alcune persone poi hanno davvero un dono.
Quello di riuscire ad affrontare le asperità della vita con un coraggio da far invidia al re della foresta. Il destino sembra che voglia a tutti i costi metterle alla prova, ma non ci riesce. Sono più forti le speranze, i sorrisi e i pensieri positivi.
Ecco, forse è questo il trucco. Si deve pensare alle cose belle, a ciò che di meraviglioso si possiede: una grande e calorosa famiglia, un amore che ti sta accanto tutta la vita, gli amici che ti vogliono davvero bene e i traguardi personali raggiunti.
Per queste bellezze bisogna lottare. Per continuare ad averle giorno dopo giorno.
Penso a tutto ciò ed è inevitabile una comparazione con un’opera d’arte che, da quando incontrata nei miei studi, mi ha affascinata ed emozionata: il Pugile delle terme, o Pugilatore a riposo (Lisippo, o un allievo della sua scuola, IV secolo a.C., bronzo, Roma, Museo nazionale romano).
Figura bronzea greca, risalente al IV secolo a.C., dall’estremo realismo che rappresenta un pugile dalla forte muscolatura, seduto, in un momento di riposo dopo il combattimento, col capo rivolto bruscamente verso lo spettatore, come se qualcosa avesse attirato improvvisamente la sua attenzione.
Indossa i “cesti”, spesse bende di cuoio bloccate da cinghie che venivano avvolte attorno agli avambracci. Il volto del pugile, ammaccato e segnato da cicatrici, dimostra la maestria dell’autore che riesce a rendere il soggetto in tutto e per tutto simile ad un vero pugile provato dai tanti scontri.
Persino senza i cesti sarebbe immediatamente riconoscibile come un lottatore, per il naso rotto, l’occhio destro gonfio, le labbra sfregiate e infossate per la mancanza di alcuni denti e per le grosse orecchie tumide.
La lotta è appena terminata. Con dovizia di particolari, per mezzo di lucenti agemine in rame, l’artista riesce a farcelo percepire. L’uso di materiali diversi, bronzo e rame, mette ancor più in risalto questi particolari e risulta essere un espediente ingegnoso per l’epoca in cui è stata scolpita la statua.
Proprio per questo Plinio sosteneva che una delle caratteristiche dei ritratti lisippei è proprio quella di riuscire ad osservare e figurare i particolari e le minuzie anche delle cose più piccole.
Non a caso Alessandro Magno fece di Lisippo il suo ritrattista di fiducia.
La statua del pugile sembra inoltre basarsi sul contrasto fra la quiete, espressa dalle braccia appoggiate sulle gambe, e l’improvviso scatto della testa verso destra, forse per cogliere sulle labbra dei giudici il verdetto finale. Questo dimostra anche la volontà dell’artista di rappresentare la sordità del personaggio che deve quindi scoprire con gli occhi il risultato.
Altro motivo di questo contrasto può essere anche la volontà dello scultore di cogliere il “kairos”, il momento passeggero, la fortuna che sempre corre e non può essere fermata.
Alcune gocce di sangue dovute alle lacerazioni che l’atleta mostra sul viso, cadono sulla gamba e sul braccio destro.
Varie estremità della scultura si presentano leggermente più lucide a causa dello sfregamento di antichi ammiratori, che credevano portasse fortuna.
Quest’opera potrebbe metaforicamente rappresentare ognuno di noi dopo i momenti duri.
L’ho sentita vicina tante volte, e so che potrà accadere ancora. La sua bellezza sta proprio nella forza che sprigiona nonostante gli acciacchi evidenti. Dimostra la voglia di scoprire di avercela fatta.
Di aver vinto l’avversario, qualunque esso sia stato, e poter di questo gioire.
Stanco, esausto, ma vincitore.