Amare le lettere, oggi come ieri
Tutto è cominciato se non ricordo male in quarta elementare. La maestra arriva in classe con alcune lettere in mano e spiega che una scuola sarda ha inviato delle lettere scritte da alcuni bambini con l’invito a corrispondere con loro. Bambini che scrivono a bambini sconosciuti, lontani, forse per spezzare l’isolamento inevitabile quando hai solo il mare per confine.
Io alzo la mano, sono curiosa. Ho cominciato così ad amare la corrispondenza. Un amore che continua anche oggi, come ieri.
La bambina che mi era capitata come amica di penna si chiamava Margherita e dimostrava una chiara difficoltà con l’italiano e la grammatica. Io, che invece scrivevo bene perché leggevo anche molto, faticavo perfino a interpretarla.
All’epoca la lettera, insieme alla telefonata, era l’unico modo per comunicare a distanza. Ma la telefonata in teleselezione, costava molto di più.
Ma non mi passò il gusto di scrivere lettere. All’epoca la lettera, insieme alla telefonata, era l’unico modo per comunicare a distanza. Ma la telefonata in teleselezione, costava molto di più.
Per scrivere invece bastava poco: un foglio bianco, oppure colorato, a fantasia, o a righe, se a qualcuno piaceva di più; una penna; una busta adatta al foglio; un francobollo.
Il francobollo era fondamentale! Una lettera spedita senza francobollo era soggetta a sovrattassa a carico del destinatario. Questo piccolo pezzetto di carta stampata dalle effigi più strane aveva un valore economico. Più lontano andava la lettera (in città o fuori città, in Italia o all’estero) più era costoso. E per essere valido doveva riportare il timbro dell’ufficio postale.
Naturalmente lo sanno tutti che i francobolli potevano essere collezionati. Anche io avevo cominciato. Ero fiera di avere quasi la serie completa dei francobolli con l’Italia turrita, una testa di donna a rappresentare l’Italia. Era la serie più comune, ma era bello possederla.
Ciò rendeva ancora più emozionante l’attesa di una lettera. Soprattutto se si sapeva già che sarebbe prima o poi arrivata, in risposta a una lettera già inviata in precedenza… Era questo, appunto, che significava tenere una corrispondenza. Io scrivo a te, ci vogliono dei giorni prima che ti arrivi la busta affrancata, poi tu leggi, ci rifletti su, e dopo un po’ prendi anche tu carta, busta e penna, e scrivi a me. E così via.
Passava del tempo tra una lettera e l’altra, tempo in cui si ripensava a quanto scritto, magari maledicendosi perché si sarebbe potuto scrivere meglio, o diversamente, o dire altro, e si cercava di immaginare la risposta.
Non era tempo sprecato. Era tempo impiegato, tempo dedicato.
Ho scritto lettere per molti anni. Il fatto di allontanarmi per le vacanze in un posto così lontano da casa non scoraggiava le amiche. Dal Veneto mi scrivevano in Puglia, dalla Puglia mi scrivevano in Veneto. Non perdevo mai i contatti. Ed era sempre emozionante aspettare il postino, spiarlo da dietro la finestra per vedere se lasciava qualcosa per me, e in caso affermativo riconoscere la scrittura senza leggere il mittente, indovinare un eventuale umore sbilenco da come era stato incollato il francobollo (sbilenco a sua volta, o magari a testa in giù). E poi aprire con frenesia la lettera e leggere, decifrando calligrafie non sempre limpidissime.
Conservo tutte le lettere che mi sono arrivate. Proprio tutte.
Quelle delle amiche, certo. Tantissime. Ci saranno anche quelle di Margherita, da qualche parte, basta solo cercarle.
Un giorno ho ritrovato quelle della nonna veneta, che mi scriveva per mantenere stretti i rapporti con la figlia di sua figlia mancata troppo giovane. Era semplice, la nonna, certo non aveva studiato, ma tutto il suo amore e la volontà di non perdermi trasparivano dalla grafia elementare e dalle parole sgrammaticate. Mi sono commossa rileggendole, quando anche lei ormai non c’era più.
E poi ho riletto quelle degli amori. Quanto amore ha attraversato le distanze racchiuso in una busta per raggiungermi ovunque fossi. Lettere di fidanzati, ma anche di insospettati corteggiatori. Qualcuna di queste lettere giungeva infatti inattesa, misteriosa, magari senza mittente. Chi mai sarà che mi scrive? Scorrendone il romantico contenuto poi c’era da piangere per l’emozione. Salvo se possibile nascondere subito lettera e busta, che forse era sconveniente lasciarla in giro. Ma soprattutto era poi bello riprenderla ogni tanto in mano e gustare ogni parola. Lo so, sono romantica. Le lettere d’amore ricevute, a volte appunto a sorpresa, sono fra i miei ricordi più belli.
Le lettere comunque arrivavano anche se non erano del tutto complete d’indirizzo. Qualche anno fa ne ho ricevuta una, piena di complimenti, da parte di un ammiratore che aveva letto un mio racconto su una rivista. Sulla busta c’era solo il mio nome, cognome e il paese in cui abito. Ma è arrivata. I postini avevano una funzione importantissima nel recapitare missive difficili. Ora distribuiscono volantini pubblicitari e secondo me ne soffrono. La gente più che latori affascinanti ormai li considera portatori di rifiuti cartacei o di onerose bollette di cui farebbe volentieri a meno.
La tradizione della scrittura di lettere, è risaputo, si sta perdendo. Se pure non è già scomparsa.
Oggi ci sono le email, certo. E poi ci sono gli sms, i social network, vari tipi di messaggerie, e skype. Le comunicazioni sono istantanee, tanto che se uno non risponde subito ti viene da pensare che gli stai sulle scatole ed è meglio lasciar perdere.
Naturalmente anche io faccio largo uso di questo nuovo modo di comunicare. Perché la voglia di corrispondere con un’anima distante non l’ho persa. E naturalmente apprezzo la comodità e l’istantaneità di aver annullato le distanze con un semplice click.
Però lasciatemi crogiolare nella nostalgia di una lettera scritta a mano, di una busta affrancata male, di una calligrafia sghemba, del tempo che non passava mai nell’attesa, del far la posta al postino, e scusate il gioco di parole.
D’accordo, erano altri tempi.
Ma tutto sommato, erano belli.