Ritorno a casa
Sembra quasi immorale scrivere qualcosa sotto questo testo, come a spezzare il sonno sottile che conduce al sogno di un ricordo, nitido e perfetto, invece di sognare col sognatore.
Si parlava di origini e cambiamenti, cambiamenti rispetto alle origini (“Da domani si cambia musica”), beh, quanto alle origini non mi viene in mente niente di più azzeccato di questo pezzo. A volte è strano il percorso che ci porta ad apprezzare un gruppo. A volte ascoltiamo qualcosa che non ci dice niente e poi cambiamo idea, a volte ci innamoriamo di una canzone al primo ascolto e magari dopo aver sentito le altre questa non finisce neanche nella nostra personalissima Top 5 (o sono l’unico a farsi ranking mentali?). Con questa canzone ho scoperto gli Afterhours, e la sua bellezza non solo non è sfumata ma sembra crescere nel tempo. Per me si tratta di un doppio ritorno alle origini quindi, il primo insito nel testo, il secondo dovuto al fatto che da qui ha avuto origine la mia passione per la band milanese.
Mi sembra strano riuscire a sentire così vividamente sulla pelle queste parole, strano perché nella casa dove abitavo da bambino, io, ci vivo ancora. Eppure a volte, camminando per la strada che mi riporta a casa, quella strada di cui conosco ogni albero e ogni buco sui marciapiedi, provo nostalgia.
Come si può provare nostalgia per un posto che non si ha mai lasciato? Come si può tornare senza partire?
È forse un senso di tenerezza per il ricordo di quel tempo sospeso, di quello spazio illimitato di campi di battaglia senza confini all’interno delle mura di una cameretta.
E mentre la musica accompagna le mie escursioni è a lei che ritorno, perché anche nelle proprie escursioni musicali a un certo punto si sente il bisogno di tornare a qualcosa che non si ascoltava da tempo. Poco importa se – e sottolineo se – ormai abbiamo altri gusti, riascoltare certi pezzi, certi gruppi, fa sempre il suo effetto. L’orecchio si può affinare, il cuore è sempre pronto a regredire, a tornare indietro verso certe scene, certi nomi, certi volti, certi suoni. A ricordarsi il momento esatto in cui è stata sentita per la prima volta una melodia o quello in cui è diventata più di una canzone tra le tante.
Così ritorno a casa, torno ai miei gruppi e ai miei soldatini, torno sul sedile posteriore della Fiat Punto nella quale ho ascoltato per la prima volta questa canzone, torno a chiedermi se sono meglio gli After(hours) o i Marlene (Kuntz) come quando a quindici anni ne parlavamo tra amici, non per fare reali classifiche ma per condividere, con quel modo stupido, il nostro amore per la musica. E poi le prime cover, Dentro Marilyn e il suo testo indecifrabile… ci sono talmente tanti ricordi in emersione che faccio fatica a tenerli nella mia testa. Solo certe canzoni fanno quest’effetto, come un boomerang che lanci nel momento in cui premi play e che torna tra le tue mani dopo aver volteggiato nella memoria. Sono certo che ognuno, per sé, ha un pezzo simile. Qual’è il vostro?
È solo una stupida villetta con uno sputo di giardino, ma sarà la prima cosa che comprerò quando sarò ricco.