Quel boa che non trovavo – Vi racconto il mio Gay Pride
“Dov’è il mio boa arancione?” Per una volta che sento il bisogno di sfoggiarlo non lo trovo. Credo di avere una maledizione. Una sorta di malocchio che mi fa sparire tutto nel momento in cui inizio a cercarlo. Metto la casa sottosopra. Avevo “solo” trenta minuti di ritardo, più i trenta che mi servivano per raggiungere piazza Dante, fanno un’ora. Alessandra mi ucciderà. Mia nonna mi guarda perplessa e mi chiede perché sto cercando il boa arancione, le spiego che sto per andare al Gay Pride. Noto il suo volto sempre più serio, inizio a preoccuparmi di dover affrontare un’accesa discussione, così prendo il telefono e scrivo ad Ale che forse tarderò di un paio d’ore. “Vedi che il Boa lo lasciasti a casa di quella tua amica a carnevale, io non te l’ho visto tornare indietro, però potresti metterti quella bella parrucca colorata che hai!”. Il cuore mi si riempie improvvisamente di gioia mista ad orgoglio, non solo per la brevità della risposta, ma soprattutto dalla “miticità” di mia nonna. A volte dimentico che il passato l’ha cresciuta da partigiana, e che compiuti diciott’anni, a poche ore dal mio primo voto, mi disse: “ Io ho lottato per farti avere questo diritto a’ nonna, non devi sprecarlo, prima di segnare con quella crocetta devi informarti, ragionare. Io lo dico per te, per farti essere una donna libera, vota chi vuoi, ma vota a sinistra!” alla faccia della libertà di scelta.
Se non avesse avuto ottantasette anni l’avrei portata con me, si sarebbe divertita un mondo.
Alla fine però non ho portato né la nonna né la parrucca, faceva troppo caldo. Non so quanti gradi segnava il termometro oggi pomeriggio, ma io ne percepivo cinquanta. Arrivata a piazza Dante il corteo era da poco partito. Appena fuori la metro mi arriva il messaggio della mia amica, che proprio perché è mia amica, come me è in ritardo. Mentre l’aspetto, l’ultimo carro sparisce dietro la curva ma la musica è forte ed inizio a ballare e canticchiare sulle note della canzone in lontananza: Lady (Hear me tonight). Eccola, ci salutiamo velocemente e corriamo per raggiungere la folla, ci immergiamo. I colori, la musica. Nell’aria la festa si percepiva più del caldo e dell’afa. Tutti saltavano, tutti cantavano. Avrò fatto un milione di fotografie. Molti, anche se da lontano, mi chiedevano di immortalarli e dopo ogni scatto ci mandavamo baci. Click-Smack. Una sorta di Grazie-Prego, più bello ed anche più vero. I carri si muovevano lenti, la folla camminava ballando e senza accorgercene i chilometri macinavano sotto le suole delle nostre scarpe.
Passanti, turisti, persone affacciate ai balconi, di tutte le età, di tutti i sessi, di tutti gli orientamenti sessuali, insomma TUTTI si lasciavano coinvolgere da quell’aria di festa e allegria che ti prendeva anima, cuore, stomaco, e anche pancreas e cistifellea. Tutto vibrava al suono di quelle casse che battevano in mezzo al caos. Qualcuno diceva qualche tempo fa, riferendosi al GayPride di Berlino: “Ma non l’ha forse detto Nietzsche che è il caos a generare le stelle danzanti? E più che stelle danzanti parliamo di carri, strade, piazze piene di stelle danzanti. Tutte belle, tutte brillanti” ed aveva ragione. Anche Napoli oggi si è vestita di Stelle Danzanti. Il Vesuvio, il mare, i castelli, sembravano più luminosi, più belli, impregnati di quella folla, di quell’allegria contagiosa, di quell’euforia che solo l’essere pienamente se stessi, liberi di amare ciò che si è, sa trasmettere.
Tornata a casa avevo un’ immensa voglia di scrivere e condividere quello che avevo appena vissuto, ma prima ho chiamato la mia amica, domani mi ridarà il mio bellissimo boa arancione!