La ricetta di una speciale normalità
A guardare cosa è rimasto del mondo che sognavano da ragazzi, gli umani della mia generazione, e di un paio di quelle prima e dopo, si devono sgomentare un bel po’.
Io non lo nego, qualche volta mi sgomento.
Insomma, caro Amleto, ci sono dubbi ben più amletici del tuo, qui
Aveva una bella fortuna Amleto, che poteva star lì ad angosciarsi sull’essere oppure non essere. Sarebbe già qualcosa, per noi.
Invece noi ci angosciamo su come siamo diventati, su come si può essere, su come si dovrebbe essere, su come ci vogliono far essere, su come non ci vogliono far essere, su come è tutto intorno a noi, su come vorremmo che fosse, su perché dobbiamo essere e vedere quello che vediamo, che viviamo.
Insomma, caro Amleto, ci sono dubbi ben più amletici del tuo, qui. Ci parevi digitale tu con quella tua dicotomia secca, e noi, che siamo digitali per era, pensa se potessimo dire voglio essere o non voglio essere, che fortuna.
Prendi questi ultimi giorni. Dobbiamo tollerare cose veramente insostenibili. Molto più della leggerezza dell’essere, che alla fine, si sostiene benissimo da sola. Averla, un po’ di leggerezza che ti fa volare sulle cose.
Siamo qua, con i mostri sbattuti in prima pagina, il famoso vicino tanto normale che poi non lo era, la scienza grandefratello che ti mette allo sbaraglio e al muro, siamo qui senza sapere chi ha ragione, chi si può permettere di entrare nella vita della gente, di buttarla all’aria, di accusare, di trarre conclusioni incontrovertibili. Se lo può permettere almeno la scienza, o forse neppure lei? Oltre ai media, agli sconosciuti che ora ti sembra di conoscere anche se non li hai mai visti, i grandi esperti di tutto, che sanno molto di poco, e niente, spesso, di veri saperi. Ora sono tutti sensibili, tutti fragili, tutti artisti, tutti matti, tutti saggi, tutti imparati, e soprattutto tutti giudici. Di cosa siamo sicuri, cosa ci può proteggere? Siamo qui con flebili speranze, grandi insofferenze, crescenti intolleranze (comprese quelle alimentari, che ai nostri tempi non c’erano, e si digerivano anche i bulloni) e soprattutto infinite, incolmabili inadeguatezze.
Ma nella sempre più impopolare icona della normalità, che oramai sfugge ad ogni possibile definizione, non spuntano soltanto, mal celate dalla parvenza, le devianze del vicino. Capitano piccole cose magari belle, infilate nel trascorrere del tempo, nelle amicizie consolidate che gli anni non scolorano, tra le case, le vie, nel profumo di una mattina presto, tra cieli a pecorelle, tramonti rosa, rondini al tetto, le note della canzone che esce dalla radio e ti ricorda… il foglio trovato in una vecchia borsa, il compagno di scuola incontrato a fare la spesa… una preoccupazione, una rabbia… succedono cose piccole che ti fanno bene, segnali che diventano speranze e qualche volta sorrisi.
Sono cose normali e speciali, che resistono alla voglia di essere prorompenti, famose, eclatanti, geniali, fantasmagoriche, spiazzanti. Sono cose speciali nel loro essere tenui ed intense, non gridate. Ma importanti.
Non cercano nemmeno un Dio, un Santo, un Guru, una Stella, un Nume Tutelare che garantisca una sacralità, che sancisca il rito.
Per esempio, domani due miei amici si faranno una promessa. Non firmano nemmeno un foglio che assicuri loro una rendita, una pensione, una successione, un diritto, un assegno. Non cercano nemmeno un Dio, un Santo, un Guru, una Stella, un Nume Tutelare che garantisca una sacralità, che sancisca il rito.
Loro si scambiano una promessa; prendono un impegno per cui ciascuno di loro due è l’unico responsabile del proprio intento e della propria volontà. Io dico a te perché voglio stare con te e ti prometto di esserti fedele. Lo garantisco io, con la mia verità di donna o uomo, perché sono responsabile. E tu fai lo stesso con me. Cosa ci guadagno? Niente. Chi mi garantisce? Nessuno. Siamo noi, noi due. Io e te. Così normali, così speciali da scegliere di essere insieme. L’unica garanzia, ciò che siamo. Lo promettiamo davanti a coloro che contano nelle nostre vite. Loro, tutti, sono i testimoni. Perché ci sono, perché hanno accompagnato il nostro cammino. Perché ci hanno visto essere, e divenire.
Da ragazzi forse sognavamo di cambiare il mondo, e oggi invece di pensare solo alla delusione di ciò che non è salvato, dovremmo forse essere contenti di una piccola certezza acquisita.
Il cambiamento comincia proprio nel piccolo cosmo, nel piccolo segno. E dentro di noi. Si può essere eroi solo per un giorno. Oppure essere tutti i giorni umani. Ogni giorno migliori, ogni giorno più responsabili. Ogni giorno veri. Ognuno per sé, e insieme.
A chi ha il coraggio di mettersi in gioco senza garanti, senza reti, tutti i miei auguri.
Che fortuna che oltre le brutture gridate, ci siano bellezze silenziose.