Il risotto gay friendly
In questi giorni in televisione passa uno spot della Findus che, oltre a pubblicizzare dei piatti pronti da infilare solo due minuti nel microonde, potrebbe essere definito gay friendly.
Nel video la madre fa visita al figlio. Il ragazzo organizza una cena e le fa scoprire nuovi piatti e ricette. Ad un certo punto dice: «Mamma c’è un’altra sorpresa, Gianni non è solo il mio coinquilino, è anche il mio compagno». La mamma, senza scomporsi, gli mostra la sua tranquilla accettazione della sorprendente notizia, come solo una madre che vuole la felicità del proprio figlio più di ogni altra cosa può fare.
E finalmente!, direi. Siamo nell’avanzato 2014 ed è ancora così difficile essere liberamente gay? Ma basta. Io dico brava alla Findus che ha mostrato quanto possa essere semplice preparare un risotto, ma anche accettare l’omosessualità di un figlio. L’amore è amore. Che sia etero o gay poco importa.
Un bel cazzotto in faccia all’omofobico di turno.
L’omosessualità esiste da sempre. Addirittura nell’antica Grecia era considerata una pratica obbligata per la formazione dei giovani uomini.
Artisti, pittori, letterati, filosofi –
e chi più ne ha più ne metta -, erano omosessuali, dichiaratamente o no. Del resto se Michelangelo fosse stato gay come si dice, ciò non influirebbe sul piacere che la sua arte provoca in ognuno di noi.
L’arte spesso ha “osato” raffigurare soggetti dello stesso sesso in pose confidenziali. Sia uomini, che donne (Gustave Courbet. Le dormienti. Olio su tela. Cm 135×200. Musée du petit palais. Parigi. 1866).
E l’origine è da ricercarsi nelle antiche leggende mitologiche che spesso ispiravano gli artisti. Prendiamo ad esempio il mito di Zeus e Ganimede. Il mito narra che Zeus, capo degli dei, si invaghì del bel Ganimede e decise di rapirlo. Si trasformò in aquila, ghermì il giovane che era intento a far pascolare il gregge, e lo portò in volo sul monte Olimpo, la dimora degli dei. Il seguito potete facilmente immaginarlo.
Innumerevoli sono gli artisti che hanno voluto rappresentare quest’episodio leggendario nel corso dei secoli: il Correggio che, nel 1531, nello splendido dipinto ad olio conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, ne raccontò il momento del ratto; Bertel Thorvaldsen (1777-1844) che seppe con grande maestria plasmare il marmo nella forma del giovinetto che abbevera l’aquila (Zeus); Anton Raphael Mengs che nel 1760 dipinse l’opera Giove bacia Ganimede.
Il mito che ispira l’arte. Ma il mito attingeva anche dalla realtà, trasformandola in metafora. Dunque, l’arte che illustra la realtà.
Spesso nei dipinti vengono celati significati nascosti, o magari messi in secondo piano. In realtà, proprio questi particolari possono dare la motivazione primaria che ha spinto quel dato artista a creare proprio quella specifica immagine. Ad esempio, nel dipinto dal titolo Due giovani uomini dell’artista fiammingo Crispin Van Den Broeck, ci sono diverse allusioni all’omosessualità dei protagonisti. L’opera è un olio su tavola, custodita nel museo Fitzwilliam di Cambridge (1590).
Si potrebbe intuire che i due personaggi ritratti siano legati da un rapporto non soltanto d’amicizia. Cominciando dall’atteggiamento di reciproco affetto e confidenza: il braccio intorno alle spalle dell’uno, la mano che accarezza l’avanbraccio dell’altro; o ancora lo sguardo affettuoso e sorridente che l’uomo di destra rivolge all’altro. Questi aspetti sono evidenti ma non costituiscono una prova. Poi c’è la mela. L’uomo a sinistra la porge al compagno e rivolge uno sguardo diretto verso lo spettatore come per cercare la sua complicità. Ovvio è il riferimento al peccato originale, con Eva che porge ad Adamo la mela, solo che in questo caso si tratta di due persone dello stesso sesso.
Alle spalle dei due giovani c’è un’aquila. Il riferimento all’episodio di Ganimede è chiaro.
Altri sostengono che l’uccello raffigurato sullo sfondo sia un corvo e rappresenti un ammonimento, il classico memento mori (ricordati che devi morire). Ipotesi che sarebbe confermata dalla pietra sullo sfondo, che è simile ad una pietra tombale. La felicità della giovinezza è dunque metaforicamente raffigurata con la morte alle spalle.
In realtà l’ipotesi più accreditata è quella che i due giovani siano fratelli, anche per la loro effettiva somiglianza nei tratti fisionomici.
Io spero che invece i due siano proprio dei maliziosi innamorati. Sì, perché per me è davvero inconcepibile avere delle riserve mentali o, peggio ancora, pregiudizi. La vita è una sola ed ognuno ha il sacrosanto diritto di scegliere di chi essere innamorato.
Saranno poi anche cavoli loro?!
Concludo, sempre tornando al tema arte e omosessualità, citando un grande poeta (oltretutto gay), Sandro Penna: “Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune”.