Lo stress da stress
E poi dicono che in Italia non c’è lavoro. E’ perché in Italia si pretende la flessibilità dei dipendenti ma non si considera che anche l’imprenditore dovrebbe esserlo. Io, per esempio, da imprenditrice sono flessibilissima. Mi spiego: mia cognata, una mattina, in un eccesso di stress di quelli contagiosi (ma talmente eccessivo e talmente contagioso che lei è stressata e mio fratello ha perso tutti i capelli), nel mentre si preparava per uscire esternò con stentorea decisione la sua volontà di non andare mai più a lavorare, dichiarandosi ben disposta ad avviare un’attività che le permettesse di rimanersene a casa e gestire i propri orari in modo indipendente da quelli ripetitivi e logoranti previsti dalle attività svolte in uffici pubblici.
“E qual è il problema?” risposi io risolutiva e ottimista, “se vuoi lavorare da casa cambio commercialista e affido a te tutta la mia contabilità di attrice”.
Lei quasi sgomenta e raccapricciata per la mia proposta, e prima ancora ch’io potessi scendere nel dettaglio, e soprattutto credendo che tutte le attrici abbiano un giro d’affari come quello di Ciarliz Teron, tanto da dover lavorare per me tipo accaventiquattro, rispose decisa e fulminea, senza neanche dare al pensiero la possibilità di formarsi per intero:
“anz no, non è ch vogl lavorar da cas, non vogl propr lavorar”.
“E qual è il problema?” risposi io col solito ottimismo, perfettamente abituata, avendo avuto a che fare con la politica, a misurarmi con pensieri incompiuti e ragionamenti astrusi, “se non vuoi lavorare cambio commercialista e affido a te tutta la mia contabilità di attrice”.
Il momento fu catartico. Invidiabilmente sgombro da perplessità. Lieto fino alla letizia più estrema. Ogni nuvola si dipanò e rimase nitida la consapevolezza che la propria sorte non è necessariamente figlia di un destino avverso. Infatti capì, mia cognata, con un’argutezza da fare invidia al più lucido e illuminato Ulisse, che il lavoro con me l’avrebbe impegnata tipo solo accacinqueminuti, pausa pranzo compresa, cosa che sì soddisfaceva la sua voglia di riposo, ma che non le avrebbe consentito di mantenere il suo tenore di vita. Accadde allora che il roseo profumo della primavera le inebriò copioso le sinapsi, nonostante fosse ancora il quattordici dicembre, ed ecco che orgogliosa della sua scrivania accanto a quella del capo, felice degli estenuanti straordinari, festante per la vita sedentaria che conduceva e grata per le occhiaie incartapecorite causa scartoffie da scartabellare, gambe in spalla e borsa alla mano (la borsa dovette portarla in mano per forza, le spalle due sono! Se ci metti le gambe non puoi metterci nient’altro) si avviò verso quel lavoro che da lì in poi le apparve come una epica conquista.
Accadde allora che il roseo profumo della primavera le inebriò copioso le sinapsi, nonostante fosse ancora il quattordici dicembre
Io dal canto mio, fiera e trionfante, mi sentii socialmente utile sia per le variegate proposte imprenditoriali che le avevo sottoposto, segno di grande spirito organizzativo e creativo, sia perché, grazie a me, mia cognata riuscì a promettere eterna fedeltà al suo datore di lavoro; e, si sa, quando hai fidelizzato un dipendente, questi non abbandona la nave neanche se in cabina di comando ci sono nientemeno che modelle moldave! Capisciammè!
E’ d’uopo anche sottolineare, per onestà intellettuale e dovere di cronaca, che da quella volta mio fratello, senza lozione magica alcuna, smise addirittura di perdere capelli, e questo sia perché mia cognata aveva superato ogni forma di stress ritrovando serenità e pace, sia perché in testa non gliene era rimasto più nemmeno uno.
Ma la normalità, che stava lasciando il posto alla smisurata felicità, venne presto ripristinata, almeno nella loro vita pubblica, ché mia cognata non volle far sapere al mondo di essere privilegiata e vivere una vita nel pieno rilassamento e nella beatitudine dei sensi; e questo per non turbare la sensibilità di tutti quelli che non potevano consentirsi tale spirito ameno.
Mise quindi in piedi delle raffinate strategie per essere, agli occhi degli altri, una qualunque famiglia in cui ci si vuole bene ma, inevitabilmente, a volte si discute.
Serata con gli amici.
Lei: “Ma vuoi stare attento con tutti questi capelli che perdi?”
Un attimo di empasse congelò la comitiva. Iniziarono, appunto, “gli occhi degli altri” a palleggiare tra la bocca di mia cognata e la testa liscia a biglia di carambola di mio fratello.
Lui (non informato della strategia messa a punto dall’ingegno della moglie per non togliere veridicità alla scena): “Primo: non vedo capelli in giro! Secondo: io capelli non ne ho”.
Lei: “E ti sembra una scusa valida?”
Mio fratello, pallido e stralunato, si guardò in giro sia per cercare conforto nelle comprensioni altrui, sia per avere suggerimenti su quale numero a tre cifre contattare per la soluzione del caso.
Lei, di rimando: “Io ho i capelli lunghi. Vedi capelli lunghi in giro?
Lui, paziente e ragionevole: “No, infatti capelli in giro non ce ne sono”
Lei: “Ecco vedi? Se ci sono capelli lunghi in giro sono i miei, se non ce ne sono, sono i tuoi!”
Ed effettivamente torto non le poteva dare. In quanto a credibilità la scena era stata ineccepibile.
Smise di perdere capelli, soprattutto perché non glien’era rimasto più nemmeno uno
La comitiva, sempre immobile nel gelo di cui sopra, iniziò ingenuamente a credere che mia cognata fosse vittima di forte stress dovuto al tanto lavoro, senza invece riuscire a comprendere fino in fondo che la dissimulazione posta in essere dall’acutezza femminea della consorte del fratello, altro non era che una prova di sobrietà nella conduzione della smisurata gioia di non dover avere niente a che fare con i conti di un’attrice e, soprattutto, col mondo dell’arte e della cultura italiana in genere.