I selfie si sono sempre fatti
Su dai, chi non si è mai fatto un selfie? Cioè chi non ha mai fatto a se stesso una fotografia al volo col proprio cellulare? Oggi è una moda, tutti abbiamo il cellulare e poiché il cellulare oggi è tutto fuorché un telefono e ti permette di connetterti in rete in una frazione di secondo, praticamente tutti non abbiamo resistito alla tentazione di autoscattarci una foto in un qualsiasi momento della nostra vita per poi subito dopo condividerla con il resto del mondo.
Basta un click, una connessione e via, i social network sono sommersi dai selfie, autoscatti più o meno intimi, più o meno ironici, più o meno riusciti. Anche chi non è interessato ne è coinvolto, con l’effetto che avevano una volta le interminabili serate passate da un vicino, un amico o un conoscente che ti mostra le diapositive della vacanza al campeggio fra un tuo sbadiglio e l’altro. Un effetto cioè di noia. A volte di imbarazzo.
Talvolta però vige una curiosità genuina, perché in questo modo a qualcuno sembra di poter far parte della vita di qualcun altro anche se lo conosce appena o abita distante.
Quello che è importante rilevare, ad ogni modo, è l’estrema facilità del mezzo fotografico, al contrario di quanto accadeva fino a poco tempo fa. Eppure i selfie si sono sempre fatti…
Chi voleva fermare il tempo in uno scatto doveva avere esclusivamente la macchina fotografica.
Che anche nei modelli più semplici era comunque quasi un oggetto di lusso, da trattare con riguardo. Perché quello che sfornava erano ricordi preziosi, da conservare materialmente per sempre. Le fotografie erano piccoli ritagli di carta lucida con l’immagine riprodotta, che si mettevano in ordine in un album o in un apposito raccoglitore.
Le fotografie erano impresse in negativo sui rullini, supporti con pellicola che andavano poi generalmente portati dal fotografo professionista, il quale li sviluppava nelle camere oscure, al buio, con soluzioni apposite che sembravano intrugli magici. Non c’era possibilità di scartare a priori una foto riuscita male. Fino a che non veniva sviluppata non c’era modo di sapere come era riuscita.
All’inizio i rullini erano in bianco e nero. Le immagini riprodotte riportavano tutte le sfumature di questi due non colori, e dunque non avevano in apparenza un granché di reale. Chi le guardava dopo poteva solo mettere in moto la fantasia per dipingere gli abiti indossati dal soggetto o immaginare di che colore fosse il mare in quel momento.
Di solito negli anni le foto sbiadivano. Quelle molto vecchie assumevano un colore seppiato o violetto che a vederle oggi fanno tenerezza, testimoni di un tempo che non c’è più e che non tornerà.
Ad un certo punto però comparvero i rullini a colori. Molto più costosi, ma in breve alla portata di tutti, e un po’ alla volta il bianco e nero divenne di uso di professionisti e di nostalgici per effetti particolari. Lo sviluppo restava di competenza del professionista, o di chi avesse acquisito competenza e fosse dotato della strumentazione necessaria.
Intercorreva dunque del tempo tra la consegna del rullino e il ritiro delle foto e dei negativi, i quali ti venivano restituiti se per caso volessi altre copie o ingrandimenti. Tempo che passava nella curiosità più assoluta e a volte in un’impazienza rassegnata: come saranno uscite ‘ste foto? I tremori, i movimenti, una cattiva messa a fuoco, facce orribili, occhi rossi di flash o espressioni buffe e altro ancora non si potevano riscontrare che al ritiro del rullino sviluppato. Fra risate e commozione che ripagavano il tempo di una trepida attesa.
Alternativa alle foto potevano essere le diapositive, che necessitavano del proiettore. O filmini in super otto di una qualità scadente che oggi non esiste più, ma che se li rivedi ti assalgono alla gola, perché anche in questo caso ti portano davanti agli occhi, in movimento, attimi di vita fuggita in un tempo lontano.
Ma dicevamo che anche allora era possibile il selfie, come no. Le macchine fotografiche erano dotate dell’autoscatto, che andava impostato prima di immortalarsi. La ricerca di una base solida per la macchina fotografica per chi non fosse dotato di treppiede dava luogo a scelte improbabili… il tetto della macchina, un muretto irregolare, una finestra, qualsiasi cosa abbastanza stabile poteva andare bene. L’importante era che fosse all’altezza giusta (altrimenti bisognava piegarsi tutti sulle ginocchia!) e ci fosse il tempo di mettersi di corsa dall’altra parte dell’obiettivo, trovare il posto migliore, sorridere sibilando cheese e aspettare il click automatico, che non sempre si riusciva a sentire e perciò rischiavi di restare in posa il tempo necessario a Michelangelo per scolpire il suo Mosè.
Erano selfie impegnativi e l’unica condivisione possibile, dopo lo sviluppo del rullino, era mettere la foto nell’album (chi ricorda, oggi che le foto possono stare tutte in un cloud, i triangolini adesivi per fissarle o le pagine anch’esse tutte adesive rivestite di un cellophane trasparente per il fissaggio?), oppure nell’apposito raccoglitore e chiamare amici e parenti, offrirgli il caffè e un dolcetto e far passare di mano in mano.
Poi venne il tempo della polaroid, una piccola rivoluzione. La macchina fotografava e sviluppava all’istante la foto! Niente più attese, niente più rullini dal fotografo. La foto veniva vomitata immediatamente, su carta, pochi secondi dopo lo scatto. Bisognava stare attenti a non toccarla subitissimo, ché ci rimanevano impresse le impronte digitali e poi non servivano i servizi segreti a capire chi le aveva lasciate.
La qualità delle foto della polaroid non era delle più eccellenti, e nel tempo l’inchiostro sbiadiva ancora peggio, ma vuoi mettere l’emozione tutta nuova di vedere subito il risultato? Tanto che, a quanto ne so, si sta pensando di reimmetterla nel mercato in una veste più moderna.
Ad un certo punto i rullini sono scomparsi, o quasi. È nata la fotografia digitale. Le foto restavano impresse su una schedina, contate non più numericamente ma in byte, e poi visionate al computer. Che meraviglia… viste su uno schermo le immagini diventavano spettacolari. Quasi come al cinema! E poi se non erano riuscite bene click, come erano state create venivano anche distrutte. Rimanevano solo quelle più belle, senza spese.
C’era e c’è ancora la possibilità di stamparle. La stampa digitale è veloce e forse meno costosa. Sono nati siti che creano album con le tue foto già stampate e risparmiano a te il tempo di incollarle una per una. Ti basta sceglierle, inviarle e oplà. Il risultato è in breve a tua disposizione.
La tecnologia digitale può trasformare la foto come vogliamo rendendoci tutti artisti.
C’è senz’altro anche una utilità in questo. Fatti di cronaca e di violenza possono essere denunciati e documentati immediatamente. Anche un evento meteorologico avverso, dal terremoto allo tsunami. O un incidente stradale. Fino al bullismo, a un pestaggio, ad atti erotici o trasgressivi, più o meno consenzienti. Tutto può essere testimoniato dal cellulare giusto al momento giusto.
Tutto e di più viene immortalato e condiviso. Forse anche troppo.
Forse un album dei ricordi, atteso per giorni e costruito con pazienza, e poi sfogliato in casa davanti a un tè e un pasticcino con un amico, e solo quello nell’intimità di casa propria, non era poi così male. Io, il mio, ogni tanto me lo gusto ancora, sfogliando pagine vere, sapendo che quelle foto resteranno in eterno. Dopo di me.