La conquista della pace
La cena è muta.
Non si va al di là di “passami il sale“, per di più senza la cortesia di dire “per piacere“. Pane e tensione, anche se c’è un discreto ragù e sogliole alla mugnaia. Si guardano appena.
Lui, Stefano Accardo, 38 anni, quadro in una azienda metal meccanica. Lei, Marta Mostardini, 36 anni, contabile in una catena di piccoli supermercati. Lei ha avuto la netta impressione che il marito volesse litigare, ha sollevato questioni ridicole su fatti inesistenti, per poi chiudersi nel mutismo. Marta cominci ad essere stufa, sempre più stufa. Si comporta strano Stefano. E’ sempre stato un po’ originale. Anche quando erano fidanzati, fino a due anni prima cioè, gli piaceva fare il misterioso introverso, proprio lui che dava tutt’altra impressione quando non si esibiva in queste mini rappresentazioni teatrali.
Marta lo sa, ma stasera è stufa, ma stufa davvero si ripete, e pensa che non resisterà, perché la sua soglia di pazienza è stata oltrepassata. Teme un litigio epocale, magari senza ritorno, e quindi prova a resistere fino alla frutta, malamente posta in tavola, con un gesto di fastidio. Ma l’errore è stato commesso, il modestissimo volteggiare della ciotola per pochi centimetri nell’aria è sufficiente a offrire uno spunto che Stefano non si lascia certamente sfuggire. Lui la sbircia, fa un piccolo salto di sorpresa all’avvento della ciotola di plastica con l’uva e le pere. E commenta: “Un briciolo di attenzione…“.
Una miccia corta che porta a una rapida esplosione: “Attenzione? L’avessi tu l’attenzione. Tu parli di attenzione? Che faccia di bronzo. Ti sembra di essere un marito, eh? Sembri un fantasma. Arrivi a casa, non dici niente, saluti a stento, mangi con la testa nel piatto come un cavallo, e nel migliore dei casi fili a letto come un bimbo che deve affrontare le elementari il giorno dopo. Te lo hanno detto che sei sposato, o no?“.
Il tono è ormai alto, non è un urlo, non è una chiassata, ma una accusa sentita, profonda e sostenuta anche dall’aggressività della voce. Lui la guarda, tace, finisce di masticare: “Anche stasera questa cantilena. Lo sai che sono sotto stress al lavoro, può succedere a chiunque. Ma possibile che non posso tornare a casa per contare sul sostegno della moglie? Lo sai che cosa è una moglie? Perché non fai un corso? Potrei finire una volta una cena senza avvelenarmi il fegato?“. “Un corso? Che corso? Di vedova bianca? Se non ce la fai vai dal dottore, fatti dare le vitamine, o quello che ti pare, ma dai un senso alla tua presenza in questa casa“.
Stefano beve un sorso di vino bianco, posa il tovagliolo e commenta: “Mi pare che non sia serata, è peggio del solito. Sarà meglio che vada a fare due passi, così ci calmiamo tutti e due“. La coda di contumelie di Marta si perde in parte nel fragore della porta d’ingresso sbattuta e nel rumore sordo del vecchio ascensore di ferro.
“Credevo proprio di non farcela” commenta Stefano mentre si affretta fuori di casa. “Con questa litigata ho un paio di ore a disposizione. Spero che Claudia si accontenti, ma non posso fare inferocire Marta più di così. Deve capire. Che fatica però…“