Il rientro ad Istanbul, l’abbraccio con la mia seconda casa (parte seconda)
Non riesco a smettere di sorprendermi nel vedere quel continuo sali e scendi di stradine strette attorniate da case colorate d’ogni tipo in un labirinto di vivacità che spesso si scontra con la decadenza di alcune strutture che rendeno queste zone uniche al mondo.
Non è così inusuale perdersi tra questi quartieri che si estendono lungo le sponde del corno d’oro, così tra un vicolo ed un altro ed una breve sosta di tanto in tanto in chaykanè (çay evi) dal fascino antico, mi ritrovo in una stretta via parecchio animata di Aksaray, che ospita i residui della più antica comunità rom sedentaria del mondo.
Molti di questi abitanti sono coloro che, essendo stati sfrattati dallo splendido quartiere di Sulukule, distrutto dal comune di Fatih per lasciare spazio ad un agglomerato anonimo di nuove villette di legno, hanno deciso di spostarsi in quest’angolo di Istanbul, mantenendo in vita il sapore inimitabile dell’antico abitato rom.
Ricordo ancora la prima volta che mi recai nel vecchio quartiere di Sulukule, quando ancora qualche rom vi risiedeva. Il quartiere si presentava come un agglomerato di case dal fascino inimitabile che si accatastavano in un continuo susseguirsi di rovine e progetti di demolizione; questi appaiono chiaramente come terribili piani di espulsione di massa della storica presenza rom nel quartiere, in modo da lasciare spazio alla speculazione edilizia portata dalla nuova politica di trasformazione urbanistica della città.
cammino in silenzio, sorridendo ad ogni passante, immerso nel profumo della carne cotta su griglie ormai datate che fanno capolino in mezzo alla strada in ogni angolo del quartiere
Incrocio continuamente gli sguardi delle persone, i loro tipici tratti somatici indiani e rifletto su come sia possibile che le politiche di trasformazione urbanistica della città vogliano continuare a cancellare lentamente questa presenza dalla storia; uno dei simboli più antichi della stessa Istanbul non può essere cacciato nel silenzio ancora una volta.
Mi chiedo, voltando lo sguardo verso le nuove abitazioni di legno, come sia stato possibile avere eliminato dalla storia uno degli angoli più caratteristici della città; percorrendo in lungo e largo le vie più interne di Aksaray provo un senso di ribrezzo nel pensare che abbiano distrutto l’identità che quel quartiere e le sue genti rappresentavano per Istanbul.
Un quartiere che era il cuore pulsante della storia e della cultura della città, senza il quale non si può comprendere l’aspetto cosmopolita che la ha caratterizzata per secoli, un quartiere dove vi era una presenza vitale e secolare, che oggi ha subito con violenza una deportazione di massa che in campo internazionale è passata nell’oblio.
Mi godo l’esplosione di quei colori ancora rimasti vivi, la ricchezza dell’architettura e la sincera convivialità del piccolo insediamento in Aksaray, affogando tra le note di musica proposte da una famiglia giovane nel migliore dei palchi esistente al mondo, la strada.
Il mio sguardo si perde tra gli occhi di un anziano signore silente che mi ricordano lo sguardo sconcertato nel vedere una grande “X” rossa dipinta sul muro di un’antica casa colorata di Sulukule, obiettivo di una ruspa demolitrice guidata dall’insana mentalità di un governo criminale.
Scendo lungo il dedalo di vicoli che si distendono sino al corno d’oro ed immagino le melodie delle vecchie case del divertimento, ora distrutte e dismesse dal governo, nel quale le famiglie rom intrattenevano i viaggiatori, i passanti o i cittadini di Istanbul con il suono dei campanacci legati sui polsi di giovani ragazze danzanti accompagnati da una buonissima cucina casereccia.
Oggi nel silenzio di alcuni vicoli abbandonati, la triste melodia di un saz proveniente da una casa semi distrutta ricorda al passante che si dirige verso il bel parco sulle sponde del corno d’oro che quelle melodie non smetteranno mai di attraversare le vie di Sulukule, ripresentandosi come echi malinconici nei quartieri circostanti; le genti continueranno a ricordare le proprie case cantando le gesta e la fiera resistenza dei suoi abitanti, lasciando intendere a chiunque solchi le nuove vie del quartiere che non esisterà mai nessun governo che potrà spezzare il legame che la città ha con le sue danzatrici rom, con quelle antiche case colorate e con quelle genti meravigliose che scrivono ancora oggi la storia di Istanbul, nelle sue zone popolari.
Percorro durante l’ora del tramonto una delle vie centrali di Balat, osservando tra un vicolo e l’altro il colorarsi d’oro dello specchio di mare sottostante; sono saltuariamente accolto da continue offerte di tè e saluti cordiali, senza mai incontrare numerosi e chiassosi gruppi di stranieri, godendomi a pieno le melodie della tradizione della mia cara amata città sul Bosforo, bentornato ad Istanbul Giacomo, bentornato a casa.