Juve merda!
La prima volta che piangi per una partita di calcio non si scorda mai.
È che quando vedi le lacrime delle tue figlie che hai portato finalmente allo stadio per regalar loro un’emozione che vuoi che si portino dietro tutta la vita fa ancora più male.
Dopo mesi e mesi a cercare di capire come fare a non prendere un mutuo per poterci andare (tralascio le complicanze demenziali alle quali una famiglia con più bambini deve sottostare come quella per cui si può avere un biglietto ridotto solo se accompagnato da altro biglietto intero) avevamo finalmente trovato il pertugio giusto: Fiorentina – Sassuolo
Fine stagione, prezzi ribassati e nonostante l’assurda teoria per cui la terza bimba (che comunque ha meno di dieci anni) deve pagare praticamente intero, il costo globale rientrava ancora in un range accettabile. Data la differenza di qualità tra le due squadre la vittoria era quasi scontata e non poteva che essere un pomeriggio-sera di felicità.
In realtà i presagi che le cose non sarebbero andate come previsto li avevo notati subito. Era un po’ che non andavo allo stadio a Firenze e ho dovuto sbattere il muso sul fatto che arrivarci e trovare parcheggio è sempre più una cosa esasperante. Pure per partite insignificanti come quella che avevamo scelto.
Entriamo trafelati e di corsa solo in tempo per cantare l’inno della viola all’entrata in campo delle squadre. Le bimbe si erano esercitate per settimane e adesso lo sanno a memoria come e meglio di me.
Guardo i loro occhi e li vedo ebbri di felicità. Ogni cosa è nuova e sono bramose di conoscere aspetti curiosi che tutti quanti noi, vecchi, diamo per scontate. La cosa che più le colpisce è che non ci sia un telecronista che parla come in televisione. E che i giocatori sembrano molto più grossi dal vivo.
Virginia mi dice all’orecchio: “Babbo il cuore mi batte forte forte.”
Sento i brividi sulla pelle.
Peccato che tempo venti minuti il Sassuolo è avanti 4-1.
Perché il calcio regala, ma toglie anche tanto.
Toglie ad esempio il sogno che avevi preparato per regalo.
La viola reduce dalla sconfitta in Coppa Italia con il Napoli non c’è con la testa. Praticamente non gioca. A ogni goal degli emiliani ho una fitta alla pancia sempre più profonda perché vedo il dolore dipinto sulla facce delle mie bimbe. Quando sei da solo a casa e non ne puoi più di un’agonia del genere trovi il modo di fotterti la testa a costo di attaccarti al televideo per sperare nel miracolo, ma sugli spalti con le tue bambine che per la prima volta sono con te è durissima tener botta. Dopo che rischiamo di prenderne un altro nei loro occhi arrivano i lucciconi.
«Fermi tutti!» urlo «Non si piange per una sconfitta. Noi siamo qua per urlare il nostro amore anche e soprattutto quando si perde. Il tifoso vero non molla mai.»
Mi accorgo che non capiscono bene il senso delle mie parole ma nel secondo tempo l’orgoglio dei giocatori porta, pur continuando a giocare male, a un risultato finale di 3-4
Vedere che la squadra ci ha comunque provato lenisce in qualche modo il bruciore che tutti quanti sentivamo dentro e quella sofferenza che ha causato una cicatrice che si porteranno dentro per tutta la vita, sarà meno evidente come sarebbe stata nel caso di una disfatta clamorosa come si era prospettata.
E’ stato meraviglioso passare il tempo là con loro. Ho risposto a tutte le loro domande e curiosità e sono molto orgoglioso di me stesso. L’unica alla quale mi è stato difficile argomentare con lucidità è stata:
«Babbo ma perché tutti cantano sempre “Juve merda”?»
«Hai presente il catechismo tesoro? La santissima Trinità e il dogma della verginità della Madonna?»
«Questo è lo stesso. Tu canta e urla sempre JUVE MERDA e credi a babbo tuo che andrai in Paradiso.»
Tutta la vita!