Cultura e intercultura in una coppetta di gelato
Roma, Auditorium Parco della Musica. Sono quasi le otto di sera del 18 maggio, ultimo giorno della tappa romana del Gelato Festival, che si concluderà in estate ad Amsterdam. La gente ancora fa la fila per comprare il ticket che gli permetterà di degustare cinque dei gusti in gara, fino all’ultima coppetta. Ci sono famiglie, coppie, gruppi di amici, curiosi, anziane signore: tutti con una coppetta di gelato in mano. I golosi scelgono il gusto Sacher, al cacao, cioccolato e marmellata di albicocche. Chi cerca i sapori della cucina di una volta decide di gustare la versione “gelatata” delle ciambelle al vino, o ricotta e frutti di bosco. C’è chi ha voglia di un sapore fresco e si avvicina alla crema di limone e limoncello. I più assetati fanno la fila allo stand della Fabbri per un cocktail da loro offerto: una sorta di milk shake di gelato e sciroppi dell’omonima marca che prendono il nome dei cocktail che imitano: Mojito, Pina Colada, Bitter. La nutella ha uno stand tutto per sé, in fondo all’area dei gusti gelato in gara. Ma è soprattutto la fabbrica-mobile del Buontalenti, laboratorio viaggiante del gelato, la chicca del Festival. Forse poco noto ai romani, questo nome è la gloria dei fiorentini e richiama alla mente il sapore unico del gelato artigianale fatto come si deve. Sulla parete esterna dell’officina itinerante del Buontalenti, il quasi-decalogo (solo otto le “dritte”) del buon gelato: sano, buonissimo, ingredienti naturali, italiano, fresco, pochi grassi, gusti sorprendenti e… un buon appetito!
Proprio secondo questi criteri sono stati scelti i vincitori, eletti da pubblico e da una giuria di intenditori. Per l’edizione romana del 2014, il premio della giuria popolare è andato ad Aroa Monge, barcellonese che da dieci anni vive a Roma ed ha deciso di portare nel suo gelato le sue origini spagnole per unirle alla sua patria adottiva, l’Italia. Ecco quindi che il suo gusto, che ha colpito i palati degli assaggiatori, è proprio “Uva fragola alla catalana”, unione di crema catalana e uva fragolina. Un misto indimenticabile e caramellato che è valso ad Aroa la vittoria. E’ il secondo anno che una donna vince il contest: fattore rilevante, in un mondo -quello dei gelatieri- prevalentemente maschile.
La giuria di classe ha invece scelto di premiare un duo che già l’anno scorso aveva partecipato al Festival: sono Roberto Iacozzilli e Antonio Pascale della gelateria Cremì in vicolo del Cinque, a Trastevere. Il gusto è “Roma e dintorni” che, come dice il titolo stesso, rende onore a prodotti tipicamente laziali: la ricotta di pecora ed i frutti di bosco dei castelli. I due, attenti al chilometro zero ma anche al gusto del pubblico, hanno portato in gara un gusto di gelato che è invece prodotto autoctono e quindi a suo modo espressione della cultura italiana, laziale in questo caso.
Subito dallo staff del Festival mi spiegano quanto la tappa italiana è quella in cui emerge di più, rispetto alle altre, l’attenzione all’espressione di valori propri all’Italia, a fare del gusto di gelato che si porta in gara una vera e propria istantanea della realtà, culinaria o meno, che si vive ogni giorno. Ecco perché i gelati in gara a Roma ripropongono alimenti di uso quotidiano. Perché forse è vero: il gelato è talmente italiano che, chiamati in causa nella sua preparazione, non riusciamo proprio a non farlo presente ogni volta. Punto che sta a cuore anche alla Camera del Commercio, che ha dato al Festival il suo patrocinio. La rassegna di quest’anno è quindi lontana da inutili sperimentazioni bizzarre. Se durante i corsi aperti al pubblico in occasione del Festival si è tentato di viaggiare con il sapore e con la fantasia, i gusti in gara sono stati più attaccati alla tradizione. Il perché ce lo spiega Antonio Pascale, che abbiamo intervistato, quando racconta che è il pubblico a scegliere chi vince, il cliente ad eleggere il migliore. E che, quali che siano le modalità di scelta, è il pubblico a decidere quale gusto di gelato avrà ragion d’essere e quale potrà finire nel dimenticatoio dopo il primo tentativo di preparazione.
Antonio, ci racconti: come avete scelto con Roberto il gusto di gelato da portare in gara?
Avevamo un gelato di pecora fantastico, divino. Solo che era fin troppo forte, particolare: la pecora ha un fondo un po’ selvatico. Abbiamo deciso di unirlo a qualcosa di più fruttato, di smussarlo. Abbiamo preparato quindi due versioni: ricotta e pere, che è un classico, per cui abbiamo caramellato nell’olio delle pere fantastiche, e questa seconda versione ai frutti di bosco, che avete assaggiato, in cui i frutti di bosco dei Castelli li abbiamo fatti cuocere appena appena per lasciare il sapore ben netto. Li abbiamo messi entrambi in gelateria: la versione ai frutti di bosco la hanno spazzolata.
Colpa dei colori, del giudizio superficiale di un pubblico che vuole appagare prima di tutto l’occhio?
Forse sì, ma è il pubblico a scegliere, e a noi importava che il pubblico apprezzasse il gelato in gara. Il gelato deve incontrare il pubblico, che aiuta, decide e regna.
A lei quale versione piaceva di più?
Sono entrambe ottime. Però sai, abbiamo la gelateria in centro, a Trastevere. Anche lì spesso vengono turisti che di gelato non capiscono molto, ma quale che sia il motivo, la ricetta è risultata buona e…Abbiamo vinto!
Nel sorriso di Antonio c’è la soddisfazione di chi tanto ha lottato per aggiudicarsi la vittoria: enologo di formazione, Antonio si è ritrovato a lavorare nel campo delle gelaterie soltanto a quarant’anni. Fatto un corso di gelatieri fra ragazzi poco più che ventenni, il gelatiere ha approfondito la tematica privatamente nell’ambito chimico, ha steso un’opera di quasi trecento pagine che però, ci rivela, tiene ancora per sé, nell’attesa di poterla forse un giorno pubblicare. Nulla gli ha impedito di recuperare tutto il tempo perso ed aggiudicarsi la vittoria.
Quello che c’è di particolare, nell’edizione 2014 del Gelato Festival a Roma, è proprio l’espressione di cultura ed intercultura in una coppetta di gelato.
Cultura per Antonio e Roberto ed il loro “Roma e Dintorni”, Intercultura per quel gelato meticcio di Aroa, l’uva fragolina alla catalana. E forse oggi non ha più senso fare la distinzione, forse ha più senso dire che il gelato si fa, per questi gelatieri, espressione di ciò che si è sempre respirato nell’aria, del sapore dell’infanzia, dei viaggi, della memoria. E di memoria ognuno ha la sua, ognuno conserva il proprio passato, i sapori, i colori, le voci.
E chi l’avrebbe mai detto che una coppetta potesse celare dentro tutto questo. Altro che le madeleines di Proust.