Troie in carriera
Adoro incontrare gente con la quale parlare di cultura.
Libri, cinema, teatro, poesia.
Amo tutti coloro con i quali si può discutere dei massimi sistemi. Sulle possibile aperture di nuove frontiere del pensiero filosofico utilizzando la dialettica hegeliana e tutto ciò che Kant ci ha insegnato per poter affrontare la sfida con noi stessi e con il mondo.
Non tutti gli eventi conviviali ai quali ci è dato partecipare, però, avvengono con persone di alto profilo culturale.
Anzi, per la maggior parte è proprio l’esatto contrario.
Le cene con amici che non brillano per cultura umanistica o capacità empatiche possono diventare momenti di grande imbarazzo e/o di discussioni feroci.
Quando, infatti, finiscono gli argomenti classici che tengono assieme (sport e donne) escono fuori i battutisti da avanspettacolo. Barzellettieri di basso profilo che raschiano il fondo del barile per riuscire a far ridere con la rozzezza che funziona sempre in caserma.
Dopo il loro show si passa poi in genere all’aneddotica di genere e infine, una volta ciucchi, agli scambi di insulti nascosti.
Quelli che non mancano mai possono essere ricondotti a questi paradigmi:
Perderemmo anche se vincessimo
a) Mio figlio userà le tue figlie come navi scuola
b) No, tuo figlio è frocio e preferisce l’albero maestro della nave del figlio di un altro
c) Pensa a quelli che se le scoperanno alla faccia tua
d) E tu invece a tua madre che fa la battona, visto che tuo padre è ignoto.
Naturalmente ci sono anche variabili più sofisticate e, se possibile, ancora più scurrili, ma, quando l’alcool scorre a litri nel sangue, è più o meno questa l’arena dove si finisce a combattere.
Senza esclusioni di colpi.
I genitori di figli maschi che partecipano sanno di avere (per usare un termine scacchistico) il vantaggio del tratto. Noi che abbiamo femmine lo sappiamo molto bene. Insomma, giochiamo sempre in trasferta. Tendiamo a fare melina e giocare di rimessa. Sappiamo che se ci va bene arriviamo al pareggino striminzito. Siamo camaleontici. Dissimuliamo. Cerchiamo di cambiar discorso perché ci è ben chiaro che l’unica arma per far male a “competitor” che vogliono far passare le tue figlie per delle potenziali zoccole è usare argomentazioni che feriscono non solo l’idiota di turno che hai di fronte ma anche una categoria umana (gli omosessuali) che lotta con tenacia per ottenere dei diritti che gli sono negati da una società (in genere) omofoba.
In altre parole noi genitori di figlie femmine sappiamo che in questo tipo di discussione soccomberemmo sempre usando la retorica standard tramandata da centinaia di generazione di maschilisti. Perderemmo anche se vincessimo.
Ecco perché ho smesso da tempo di parteciparvi e ogni qual volta arriva lo scemo che attacca da quel lato mi limito sempre a dire il mio mantra:
Io amerò le mie figlie anche se diventassero delle troie.
E comunque meglio troie che suore.
E, non so ancora bene come mai, ma su questo sono sempre d’accordo tutti.