Achille / Ettore, il nostro duello interiore
Deve essere stato intorno al 1990. Sì, in effetti ero molto piccolo e nei confronti del mondo mi comportavo come una spugna, ciò che passava sotto i miei occhi o accarezzava le mie orecchie io la recepivo, elaboravo, riproducevo. Ricordo un pandoro e un’operazione di marketing di una filantropia tale che chi la immaginò, beh, non voglio pensare nei gloriosi anni a seguire che infima carriera possa aver fatto. “Iliade”, un libricino di dieci centimetri per cinque, non di più. Della copertina ricordo poco, se non la marca del pandoro che per ovvie ragioni non riporterò. Ricordo invece di come il breve testo adattato per bambini fosse incentrato su due personaggi chiamati eroi, ma fondamentalmente niente altro che uomini, rappresentanti di due modi differenti di intendere e volere. Fu la prima volta in cui entrai in contatto con Achille e Ettore.
Quel libricino riportava la trama a sommi capi e niente più. Per il mio 1990 poteva bastare. Ad ogni modo devo averla trovata una gran bella storia, una storia così affascinante da attraversare gli anni, i periodi euforici e i periodi neri, le più o meno azzeccate scelte di vita e le storie di ieri. Se ora mi ritrovo ancora a scrivere di Iliade è per la presenza di Achille ed Ettore, i due lati di una medaglia che, chi più chi meno, portiamo al collo.
La storia dell’Iliade è presto detta: una moglie di facili costumi si porta a letto il nemico, il marito, un re greco, se la prende a male e chiama in causa una serie di alleati che non aspettano altro che un pretesto per scannarsi contro la patria dell’amante, Troia. Ne viene fuori una guerra di dieci anni che si risolverà solamente con un furbo stratagemma da parte di un tipetto furbo della fazione del marito tradito che permetterà ai suoi di entrare nella città dell’amante e dare fuoco a tutto e tutti. All’interno un’infinità di altre storie e una carrellata di personaggi emblematici di una cultura che è quella fondante la civiltà occidentale. Tra queste storie, tra questi personaggi, spiccano Achille e Ettore.
Achille è della fazione greca, re dei Mirmidoni di Ftia. Guerriero invincibile dalla proverbiale velocità, le gesta guerresche lo precedono. Achille è un semidio, figlio della nereide Teti e del mortale Peleo (da cui pelide). Achille è una star del mondo antico. Se vi fosse stato il merchandising e il culto dell’immagine odierno, la sua figura campeggerebbe in ogni dove, il suo look ispirerebbe una generazione almeno e le sue frasi sarebbero citate sui social network. Nella figura di Achille è compresa tutta la mitologia atlantica contemporanea: ha la bellezza dannata di un James Dean, la chioma rigogliosa e originale (un greco biondo) di un Elvis Presley, la passione feroce di un Jim Morrison, l’attrazione verso l’androgino di un David Bowie, il disprezzo della vita di un punk (posto di fronte al bivio, scelse di morire giovane e famoso). E’ un uomo dominato dalle passioni, incapace di padroneggiare le emozioni. Lo sa bene il furbo Ulisse, che con uno stratagemma lo convince a combattere una guerra, quella contro Troia, che lo avrebbe inesorabilmente portato alla morte. Giunto sul campo di battaglia si ritirerà a causa di un’offesa ricevuta dall’alleato Agamennone, onde poi ritornarvi dopo la morte dell’amico (amante?) Patroclo. Vendicherà l’amico uccidendo Ettore e ancora una volta saranno le emozioni a comandarne le gesta: lo scempio perpetrato al cadavere di Ettore ne è la prova. Achille iroso, crudele, emotivo. Lui che di Troiani fece strazio, si ritrova tra le mani il re troiano Priamo, giunto di nascosto nella sua tenda per pregarlo di restituire il cadavere del figlio Ettore. Achille si commuove e cede alle preghiere del nemico. Se lo avesse saputo Ulisse.
Ettore non ha nulla in comune con Achille. E’ un uomo pressoché normale, valoroso combattente, certo, ma inferiore a molti altri. E’ intelligente, calcolatore, dotato di una grande moralità e legato indissolubilmente alla famiglia e alla patria. Quando morirà per mano di Achille, il dolore verrà rappresentato dalla famiglia: lo strazio della madre Ecuba e della moglie Andromaca, l’umiltà del padre Priamo. Ettore si addossa le colpe di altri (il fratello Paride è colpevole del tradimento da cui la guerra), si erge a difensore della patria. A volte pare superbo, altre prova paura, si sottrae alla pugna e ritorna al suo dovere solamente quando spronato. Quando Achille lo sfiderà a duello, Ettore, consapevole della sua netta inferiorità, tenterà dapprima la fuga, poi, consapevole e rassegnato al proprio destino, affronterà l’invincibile nemico e la morte. Il suo sacrificio rappresenta la fine di Troia. Se ci fosse stato Ettore il cavallo di legno sarebbe finito in fiamme. Invece in fiamme ci finì Troia. Il ricordo di Ettore, invece, rimane impresso nella letteratura dei secoli avvenire.
Due sono i lati di una medaglia e due sono le età della prima parte della vita. Un lato riporta l’effige irresistibile di Achille. Quando si inizia a recepire il mondo si cercano modelli e si finisce per voler essere qualcosa che non ci rappresenta. Nessuna pietà per l’Io durante l’adolescenza, i propri limiti e le proprie attitudini sono sacrificate all’altare del personaggio che si vorrebbe ma non si è. Stride l’Io, scalpita sotto la maschera autoimposta, soffre il rinnegamento a cui lo si è sottoposto. Achille, il grande eroe che scuote gli animi è il modello adolescenziale ante litteram, la figura a cui il bambino che ero tendeva mentre sfogliava il libricino con le mani insozzate dal lievito del pandoro. Col tempo subentra l’emulazione e quindi la frustrazione. Poi l’Io si ribella e si riprende lo spazio negatogli. Altri valori, forse più difficili da interiorizzare, si presentano. Il lato della medaglia è cambiato e compare il volto di Ettore. I contorni sono meno decisi, i lineamenti talvolta paiono difettosi. Eppure, e lo diciamo con simpatia, quel tale pare assomigliarci tanto.