Dacia Maraini e quella certa supponenza intellettuale
Qualche giorno fa, facendo uno dei miei consueti zapping per la rete, mi sono imbattuto in un’interessante intervista alla famosa scrittrice Dacia Maraini, la quale discorreva sulla sua esperienza al salone del libro di Torino di quest’anno.
Al di là di molti pareri stimolanti, di notizie utili e senza nulla togliere alla sua abilità di scrittrice che, benché di certo non rientri tra le mie letture preferite non posso certo dire che mi dispiaccia, sono rimasto abbastanza scandalizzato dal fatto che la buona Zia Dacia, come da ormai dieci anni a questa parte, si sia soffermata ancora sul fatto che in Italia tutti vogliano scrivere e nessuno voglia leggere. La cosa è indubbiamente vera ma nel caso della scrittrice di Fiesole è ormai diventato un leit motif da sfoderare in qualsiasi intervento pubblico al quale abbia occasione di partecipare.
Conosciamo tutti i nostri polli. In Italia, i dati sull’andamento dell’editoria sembrano andare continuamente al ribasso. I lettori accaniti si contano sulla punta delle dita, e molte case editrici chiudono i bilanci annuali decisamente in rosso. Tuttavia, l’intervista della Maraini, come anche altri episodi di cui parlerò tra poco, mi offrono lo spunto per una riflessione che si potrebbe benissimo condensare nella frase: “E’ ora che in Italia qualcuno cominci finalmente a dire Il Re E’ Nudo.” Traduzione: E’ ora di cominciare ad abbandonare questo sacro velo di riverenza generale e di dire le cose come stanno senza tanti mezzi termini.
Al di là dei pareri personali e dei contenuti espressi, i giudizi spesso duri che i nostri intellettuali o gente di successo e di spettacolo si lasciano spesso scappare sono a dir poco imbarazzanti. Nel caso specifico dell’intervista menzionata cui sopra i diktat sono: se non leggi almeno quattro libri al mese non ti azzardare nemmeno ad accarezzare il sogno di scrivere; se leggi libri scritti da autori americani di successo sei un ignorante. Con tutto il rispetto per la Maraini mi sembra che il fatto di essere una brava scrittrice non la autorizzi a sentirsi Dio in terra né tantomeno a definire “da ignoranti” tutto ciò che si discosta dalla sua idea di letteratura e di cultura. E’ vero: magari gli autori americani di successo non avranno il talento che si trova nei loro colleghi italiani, ma almeno non passano il loro tempo a fare i giudici supremi degli altrui prodotti o a ripetere ad ogni occasione di visibilità pubblica le stesse solfe trite e ritrite.
E poi la Signora Maraini, come del resto altri personaggi come Susanna Tamaro o altri mostri sacri ritenuti intoccabili da noi comuni mortali, e di continuo interpellati da televisione, web, giornali e manifestazioni varie per esprimere il loro parere sullo stato della cultura e della letteratura oggi, potrebbero anche riflettere sul fatto che il sistema “non proprio vincente” sul quale il mondo letterario e culturale italiano è fondato è in parte frutto anche delle loro posizioni abbastanza arroganti e trancianti. Quindi, e mi rivolgo anche agli editori, il fatto che l’intero barcone non navighi in buone acque è forse dovuto anche ad alcune scelte, pareri e opinioni chela realtà dei fatti ha di gran lunga bocciato o per lo meno etichettato come fallimentari. A nessuna di queste persone è mai venuto in mente che forse la gente non legge più perché è ormai stanca delle vagonate di libri di qualità scarsa che le case editrici continuano ad imporre in tutte le librerie, o di vedere sempre i soliti libri di quelle solite persone che, anche se brave e meritevoli, hanno, diciamo così, fatto il loro tempo?
Agli editori bisognerebbe far notare che non basta mettere sui loro prodotti di punta etichette fasulle elogianti il libro dell’anno o dati di vendita abbastanza inusuali per risollevare la situazione del mercato. A questo proposito basti pensare che qualche tempo fa ero in una libreria e su di un libro alquanto anonimo, ma edito da un’importante casa editrice, ho trovato la solita fascetta dorata recitante: Il caso letterario dell’anno. Solo in Svezia (patria dell’autore) vendute dieci milioni di copie. Vorrei che i signori editori mi spiegassero come fa un libro a vendere dieci milioni di copie in un paese che fa poco più di nove milioni di abitanti. Se ci riescono, ed in modo convincente, prometto di pagargli io le spese editoriali per un anno intero e di farmi tutti i pavimenti del loro quartier generale di Torino inginocchiato sui ceci e deriso dalla loro schiera di editori, autori, correttori di bozze e quant’altro.
Agli autori, intellettuali, personaggi pubblici, spesso e volentieri molto severi nei loro giudizi, vorrei dire solo che il canto del cigno, cari signori, arriva per tutti. Ci rendiamo conto che qui stiamo ancora a farci dare consigli su come dovrebbe funzionare l’economia editoriale e le logiche di mercato da una persona come Dacia Maraini che, mi spiace per lei, ma è una donna del secolo scorso? La cosa mi ricorda il caso del compianto Mike Buongiorno che, quando alla veneranda età di 88 anni venne pensionato dalla televisione, si offese a tal punto da pensare che il lavoro di tanti anni non gli venisse più riconosciuto. Caro Mike (pace all’anima tua) non è che ti si volesse mancare di rispetto, ma anche tu potevi capire che a quasi 90 anni, e con una carriera sfolgorante alle spalle, il momento di cedere il passo a nuove leve sarebbe prima o poi arrivato.
I vari intellettuali italiani, con il loro riconosciuto e stimato bagaglio di esperienza e con una carriera costruita con sudore e passione, potrebbero ora godersi la meritata vecchiaia invece che sentenziare in modo brusco su nuovi metodi (vedi self-publishing demonizzato da tantissimi) o su nuovi autori, italiani e stranieri. Che poi vorrei sapere il motivo per cui tutti loro continuino a ripetere in modo stucchevole quanto sarebbe importante dare spazio a nuovi autori, dare opportunità ai giovani e alle loro idee innovative.
Avete proprio ragione. Visto che pensate che sia così importante dare spazio ai giovani e alle nuove idee, perché intanto non cominciate a lasciare il passo voi?