Il primo concerto non si scorda mai
Il primo amore non si scorda mai, dicono, e neanche il primo concerto dico io.
Me lo ricordo come se fosse ieri: Febbraio, l’intercity per Roma, l’entusiasmo più forte del freddo, il biglietto con scritto “The Cure”. Loro, il gruppo simbolo della mia adolescenza depressa, arrabbiata, romantica. Quel Robert Smith i cui testi davano un senso e un ordine ai miei pensieri, a volte a me stesso poco chiari.
Di loro ne avevo sentito parlare la prima volta un numero imprecisato di anni fa, un numero che mi farebbe sentire vecchio nonostante i miei venticinque anni e che quindi non mi sforzerò neanche di ricordare.
Quello che ricordo con piacere, invece, fu il giorno in cui andai al negozio di dischi vicino casa. Il download andava già forte, si stava passando dai giurassici modem 56kb alla cara ADSL dei tempi odierni, ma quando potevo compravo volentieri i dischi.
Così entrai nel negozio e feci una cosa che mi vien da ridere alla sola idea che sia stato proprio io a farla: chiesi consiglio al negoziante.
“Salve! Vorrei acquistare un disco dei The Cure… ce ne avete qualcuno?”
“Si guarda, ho questi tre qui… Quale cerchi tu?” (tre su undici)
“Non saprei proprio, lei che mi consiglia?”
“C’è questo Disintegration che i fan dicono che è il più bello, sta pure in offerta…”
“Lo prendo”.
Torno a casa, tolgo la pellicola e come si fa con tutte le cose nuove rimango a guardarlo per un po’ prima di farlo partire, così per familiarizzare. È proprio bella questa copertina, cavolo se è bella. Va bene, facciamo partire il disco.
https://www.youtube.com/watch?v=LeWhUL7kS80
Campane e campanellini, atmosfera onirica ed una lunga e cullante intro che precede il canto, un canto sussurrato con un filo di voce. Questa è Plainsong, il resto è la storia di un amore cresciuto nota dopo nota, verso dopo verso, con parole e giri armonici che mi sembravano abiti fatti su misura, calzandomi a pennello. Quando qualche anno dopo ebbi notizia del concerto avevo talmente tanta fretta di organizzarmi che comprai il biglietto praticamente da solo. In verità avevo conosciuto una ragazza di Roma con cui andarci, la quale mi avrebbe anche ospitato per la notte, ma per quanto mi riguarda esperienze del genere sono più belle se condivise con le persone a cui vuoi bene. Caso volle che si aggiunse un caro amico con la ragazza, e caso vuole che oggi – a distanza di sei anni da quel concerto – io e quell’amico condividiamo i nostri progetti musicali, quindi i nostri sogni.
Avevamo i posti nel terzo anello del Palalottomatica, volgarmente parlando “in culo ai lupi”, nel senso che da lì gli artisti li vedi grandi più o meno quanto microbi. La nostra nuova amica però ci disse che sapeva come fare per aggirare i controlli e infilarci in platea.
A un certo punto le luci vanno giù, delle oscure figure si aggirano sul palco, si comincia a sentire una musica…
Il pubblico esplode, io sono troppo estasiato per fare qualunque cosa. Robert Smith appare sul palco: i capelli cotonati, il rossetto, gli occhi neri di matita, era proprio lui, così come l’avevo sempre visto e pensato. Era reale? Un essere umano come me? Se l’avessi ferito, avrebbe sanguinato?
Potrebbero sembrare domande retoriche, e in effetti lo sono, ma c’è una sostanziale differenza tra sapere una cosa e sentirla sulla propria pelle, realizzarla in quel momento. Fa uno strano effetto essere a pochi metri da uno dei tuoi idoli, può sembrare strano ma secondo me la prima cosa che si pensa, seppur inconsciamente, è: “Ma allora esiste”. Non so se questo cambia il modo che abbiamo di pensarli, i nostri idoli. Forse un po’ perdono quel qualcosa di magico. Forse nel vederli fatti di carne e ossa decade l’idealizzazione che abbiamo di loro come mezzi-dei, o forse ci si emoziona solamente e ci si sente incoraggiati a dare il massimo proprio perchè anche loro sono esseri umani. Nel mio caso l’emozione l’ha fatta da padrona, in fondo era anche il mio primo concerto “serio”, ma nel tempo quello che ho sperimentato è che i concerti somigliano un po’ ai sogni: un susseguirsi di scene e di emozioni vivide, intense, così tanto da farti essere sicuro che siano reali, salvo poi sfumare al mattino seguente, con i ricordi che si confondono con l’immaginazione e una voce nella testa che domanda: “Era tutto vero o era solo un sogno?”
Era tutto vero, e lo so perchè ho trovato questo video su Youtube. È proprio l’inizio del concerto a cui sono stato io, e nonostante la pessima qualità audio/video e l’urlo diabolico della tizia nei primi secondi – a cui sono comunque grato – non posso non emozionarmi ogni volta che lo vedo!
https://www.youtube.com/watch?v=a-_jR5UQdXk