Siamo come gli asparagi
Siamo come gli asparagi, l’ho scoperto ieri.
Studiare all’estero per un anno è elettrizzante, un’esperienza che consiglio caldamente.
La brezza di vitalità che è soffiata nella mia vita da settembre ad oggi è stata un toccasana per la mia coscienza assonnata e ha sovvertito le paure sul futuro tipiche di una giovane studentessa italiana.
Conoscere altri studenti stranieri e comparare le loro vite e le loro carriere a quella che per me era la normalità prima dell’Erasmus ha avuto un contrastante risvolto circa il mio modo di pensare.
Noi italiani diffondiamo la cultura degli arrosticini abruzzesi, della carbonara fatta bene e li informiamo su quanto sia bella nostra mamma.
Hanno vent’anni e hanno già accumulato numerose esperienze di vita all’estero, sono già entrati in contatto diretto col mondo del lavoro grazie agli internships (i nostri tirocini), spesso retribuiti e quasi sempre molto attinenti al loro dream job. Parlano in modo fluente l’inglese e almeno un’altra lingua straniera. Mi è capitato di essere la sola italiana in un gruppo di dieci tedeschi una sera a un bar; hanno conversato in inglese fra di loro per tutta la sera, per permettermi di capire, e l’hanno fatto senza alcuno sforzo, anche quando non si rivolgevano direttamente a me. Quando sono rientrata dal bagno sono rimasta a osservarli: nonostante la mia assenza stavano continuando la loro conversazione in inglese. Noi italiani a dispetto della nostra proverbiale convivialità nei confronti degli stranieri, in una tavolata di maggioranza italiana dopo il primo quarto d’ora spostiamo l’interruttore sulla lingua madre. Non lo addito come un difetto, ma come un indicatore culturale. Siamo legati a quello che è nostro, al cibo, ai dialetti, alla famiglia.
Gli stranieri raramente ti parlano della loro città d’origine senza che tu gliel’abbia chiesto, di come festeggiano i compleanni, di cosa mangiano durante le festività o di quanto spesso videochiamino la loro famiglia su Skype.
Noi italiani diffondiamo la cultura degli arrosticini abruzzesi, della carbonara fatta bene e li informiamo su quanto sia bella nostra mamma.
Più frequentemente ti parlano dei loro viaggi in giro per il mondo, di come hanno imparato lo spagnolo facendo volontariato in Guatemala, di quella volta che son scappati dall’emisfero boreale in preda all’amore per rivedere un australiano incontrato in un bar, della famiglia francese dove prestavano servizio come au pair e dei loro progetti futuri.
Cosa manca a noi per essere più europei? Come fanno a dominare così bene così tante lingue straniere? Come fanno a lasciare le loro famiglie con così tanta leggerezza?
La mia prima reazione all’involontario confronto tra studenti italiani e non è stata di sconforto; perché loro sembrano essere così avanti? Cosa manca a noi per essere più europei? Come fanno a dominare così bene così tante lingue straniere? Come fanno a lasciare le loro famiglie con così tanta leggerezza?
La seconda reazione è stata invece un’infusione di voglia di fare, di rimboccarsi le maniche e mangiare il mondo.
Poi ho comprato un mazzetto di asparagi alla boqueria. Ho chiesto a mia madre un consiglio sul come pulirli e cucinarli, e ho capito una cosa: siamo come gli asparagi. Ogni asparago ha il proprio punto di rottura, dove il gambo ha la consistenza giusta da fare tak e spezzarsi in modo netto.
Se forzi un asparago troppo in basso, dove il gambo è pericolosamente vicino alla radice, la rottura sarà difficile e imprecisa, un mucchio di filamenti fibrosi che faticano a spezzarsi. Se invece scegli di tenere solo la cima sacrificherai tutta la parte dura, cucinando un piatto di contorno esiguo e buttando via nell’umido una buona parte commestibile dell’asparago. Per trovare il punto x bisogna provarci e tastare tutto il fusto, fino a sentirlo sotto le dita e lì spezzare in modo netto, nella maniera giusta.
Ogni asparago ha il suo punto di rottura situato ad un’altezza differente del gambo.
Siamo come gli asparagi, le fibre tenaci delle nostre radici hanno consistenze diverse e si ramificano in noi rendendoci saporiti e callosi. Non abbiate paura: in cucina non ci batte nessuno.