A Porte Chiuse: quando Sartre balla un tango…infernale
Tentare di intessere legami fra il tango e l’inferno sì, si può fare. Perché le musiche sono irrequiete, passionali, e la passione, si sa, ha sempre qualcosa di infernale per buona parte dei benpensanti. Ma che accade se come inferno scegliamo quello esistenzialista immaginato da Sartre in “A porte chiuse”? Come immaginate il filosofo francese alle prese con il tango? Un gruppo di attori-ballerini italiani e armeni hanno deciso di sperimentare e metter su lo spettacolo che il Piccolo Eliseo ha proposto ieri e che riproporrà un’ultima volta oggi, a Roma.
Tentare di intessere legami fra il tango e l’inferno sì, si può fare
Il risultato? Molto inferno, molta appassionante musica, ma poco esistenzialismo.
L’inferno contemporaneo e laico di Sartre riprende vita attraverso il tango di Astor Piazzolla, dei Gothan Project, di Mariano Mores e René Aubry. Senza divinità, senza torture concrete.
La trama è quella angosciosa che ben conosciamo, ma la rivisitazione ha prelevato all’ambientazione infernale la sua staticità silenziosa, conferendole un tono più irrequieto e instabile, come le corde degli archi che echeggiano nelle musiche di accompagnamento. I testi sono rimaneggiati per renderli più adatti all’andamento musicale, vengono meno le frasi dal sapore profondamente esistenzialista che Sartre aveva inserito, non mancano note di ironia e i personaggi hanno tratti caricaturali, in primis il valletto che comanda la stanza infernale.
Inès, Estella e Garcin invece sono sempre loro: personaggi inventati che continuano a essere l’emblema di chiunque, che si torturano anche soltanto osservandosi, si danno fastidio con le sole presenze ma al contempo di quegli sguardi e di quelle presenze hanno bisogno per sentirsi vivi. Inès, impiegata alle poste, lesbica rigida e severa; Estella, attrice vanitosa che necessita di sei specchi che le rimandino la sua immagine per guadagnare fiducia in se stessa; Garcin, vigliacco che ha disertato la guerra e tradito la moglie fino allo sfinimento di lei. Ognuno di loro macchiato da colpe imperdonabili.
L’inferno di Sartre, si sa, non nasconde nessuna tortura, nessun dolore fisico, nessun Dio pronto a giudicare e nessun diavolo: l’inferno sono gli altri, come dice il motto rimasto celebre, e la conseguente impossibilità di sfuggire al loro sguardo scrutatore. Così, in inferno, hanno anche risparmiato sul personale facendo a meno del boia, ironizza Inès.
“L’inferno sono gli altri!”, urlano, e poi ridono, ballano di nuovo, rivedono in maniera sempre più sbiadita il fantasma dei loro incubi nella vita passata
Un passo avanti con il corpo, uno indietro con la testa: mancano le dissertazioni filosofiche e la cosa non può che dispiacere a chi, come la sottoscritta, predilige “A Porte Chiuse” anche per questo. I tre personaggi però rimangono indimenticabili, fedeli alla maniera in cui il filosofo li aveva disegnati, scissi e tormentati.
È alla loro psiche che il tango dà un tocco in più: senza musica, l’attrazione di Inès per Estella sarebbe stata poco degna di nota. La scena in cui la donna propone all’attrice di farla specchiare nel suo sguardo si trasforma invece in un tango appassionato e tormentato, le inquietudini prendono forma e il bacio che Inès ruba ad Estella raggiunge una concretezza che il testo di Sartre non lasciava trapelare.
Poi la porta dell’inferno si apre, è sempre stata aperta, ma i tre personaggi decidono di non uscire, tanto invischiati nella rete di rapporti che hanno creato. “L’inferno sono gli altri!”, urlano, e poi ridono, ballano di nuovo, rivedono in maniera sempre più sbiadita il fantasma dei loro incubi nella vita passata, non smettono di danzare, non trovano pace, e il tango incalza.