Sugar Man Rodriguez esce dall’uovo di Pasqua
Dal mio uovo di Pasqua è uscito un insignificante fischietto azzurro. Forse per ricordarmi di quanto odio gli arbitri quando non ci fischiano i rigori, o forse per la multa per divieto di sosta che ho preso due giorni prima (che poi vorrei capire com’è possibile che mi abbiano fatto la multa se c’erano i parcheggiatori abusivi; uno si aspetta che quantomeno i vigili li avessero cacciati, invece al mio ritorno stavano animatamente discutendo tra loro per questioni di soldi).
Dall’uovo speciale però, quello delle storie e delle sorprese musicali, è venuta fuori un’altra storia per il mio ciclo “sconosciuti alla ribalta”, che vanta già la partecipazione di Jackson C. Frank e Linda Perhacs: cari lettori, vi presento Sixto Rodriguez, the Sugar Man.
Poche settimane fa ha suonato in Italia facendo il tutto esaurito, ma le cose non sono sempre andate così. Classe 1942, americano di Detroit con padre messicano e madre statunitense, cantautore – sorry – folkman, chiamato Sixto in quanto sesto figlio dei genitori. Tralasciando la gavetta si può dire che la sua carriera inizi con l’uscita degli album Cold Fact (1970) e Coming From Reallity (1971), i quali non riscuotono grande successo sul mercato, anzi sono un fiasco, tant’è che il contratto discografico (con la Sussex Records) viene rescisso e lui finisce a fare l’operaio per potersi guadagnare da vivere.
Mentre imbiancava e stuccava, però, i suoi album cominciavano a diventare molto famosi in Sud Africa e in altri paesi africani, fino addirittura in Australia. Il solito genio discografico di turno compra i diritti delle canzoni di Rodriguez, ancora non è chiaro da chi, e fa uscire una sorta di The best of con l’aggiunta di due inediti: è il boom.
I testi delle sue canzoni divennero simbolo della lotta all’apartheid; la musica di Rodriguez incarnava lo spirito di tutto un movimento che lottava per l’uguaglianza e la libertà, e che alla fine l’avrebbe avuta vinta.
La sua musica viene paragonata a quella di Bob Dylan e in Sud Africa anche i giornali si occupano di lui, creando ovviamente polemiche a non finire. Tutto questo, però, Rodriguez non lo sa. Almeno fino a quando due giovani non si mettono alla sua ricerca, senza neanche sapere se è vivo o morto (l’hanno dato per morto tante di quelle volte che due dei suoi tour si chiamano Rodriguez Alive – vivo invece che dal vivo – e Dead Men Don’t Tour che mi pare abbastanza esplicito come messaggio).
Di questo tratta il film documentario Searching for Sugar Man (2012), del regista svedese Malik Bendjelloul, che nel 2013 porta a casa anche un Oscar come miglior film documentario.
Io l’ho visto in inglese sottotitolato in spagnolo, quindi diciamo che non me lo sono proprio goduto al massimo visto che non riuscivo a seguire né l’audio né i sottotitoli, e di cui ricordo soprattutto un disperato tentativo di integrare le mie lacune comprensive con un’insalata di lingue.
Grazie a un caso fortuito la figlia di Sixto capita in un sito web con un “wanted” sul padre: da qui che partiranno vari tour in Sud Africa di Sugar Man.
La cosa che mi ha incuriosito, e che costituisce un elemento originale rispetto alle altre storie, è che la ribalta di Rodriguez ha avuto due fasi.
La prima è quella conseguente alla scoperta di essere diventato un idolo a migliaia di chilometri di distanza: questa ribalta – carica di significato – l’ha portato ad un successo comunque circoscritto in determinate aree, lontane dai grandi palcoscenici della musica quali l’Europa e l’America.
La seconda ribalta è arrivata dopo Searching for Sugar Man, e lì sì che è arrivata davvero, tant’è che anche noi italiani abbiamo avuto la possibilità di assistere ad un suo concerto.
Ma la musica? Lungi dal trascurare ciò che davvero conta, dico la mia: musicalmente non è qualcosa di particolarmente rivoluzionario, è in linea con quei tempi, ma non è neanche qualcosa che ci si poteva permettere di scartare, perché ci sono canzoni molto belle, aldilà del significato che hanno assunto nel contesto sudafricano.
Ho letto in rete tante recensioni appassionate, di quelle che farebbero sembrare un disco di merda un capolavoro indiscutibile, un lavoro da pionieri che anticipa un’epoca nuova. Io non vorrei – pensando in mala fede – che chi le ha scritte si sia fatto affascinare dalla suggestiva storia che c’è dietro distraendosi da un ascolto libero. Anche se lo riterrei comprensibile, perché chi ama la musica prende molto a cuore storie come questa.
Detto ciò, ognuno si faccia la sua opinione, io vi posto un pezzo che mi è piaciuto!