Pordenone-Venezia-Madrid-Boston a/r (parte seconda)
Episodio cominciato da qualche secondo. Il tele-racconto schermo visualizza una lettera scritta da Lora a Valentina, e la voce fuori campo legge i pensieri della T.A. a passo lento scandagliando bene parola per parola:
Cara Vale,
altro che perdere tempo, non riesco a capacitarmi di come il tempo sia volato senza neanche rendermene conto: era appena arrivato e già doveva ripartire, ma che senso ha? Altro che “il tempo è relativo“… è una maledizione!!!
Allora ti dico, quando i sospetti su lui in viaggio verso Boston sono cominciati, non ci avevo fatto caso perché l’ultimo pensiero era sempre: “scema, non pensare a queste cose che poi non succedono e ti senti ancora peggio per essere stata così stupida a sperare!”
Poi la mattina, quando mi ha scritto che non poteva andare on line e il cellulare era scarico eccetera, ho detto tra me e me: impossibile, quando lavora con father può comunque andare online, quindi ho scritto alla mia amica e collega francese che avevo un sentore.
Che Ale stesse per venire veramente? Che lei ne sapesse qualcosa perché magari lui, per organizzare tutto, avesse parlato con qualcuno qui? Invece no, caro il mio bene, avete fatto tutto da lì. Così sono andata a lezione e non riuscivo a fare nulla perché cercavo di capire, di ragionare. A pranzo c’è stata la rivelazione dove io, da genio – sorriso simpatico – ho ingannato Marco dicendogli: sì, lo so, e in realtà non sapevo ma immaginavo, e lui ha detto “ma non è giusto, ma come fai?”
Segreto da Lora.
Quando gli ho scritto i messaggi dicendogli che sapevo tutto e che mi doveva dire a che ora sarebbe arrivato, ero superagitata, non ci credevo. Arrivato non lo avevo riconosciuto perché Skype, come le foto e i video in generale, fanno sembrare le persone più “cicciottelle” e mi era parso stranamente magro; sapevo che era lui, con i suoi occhioni azzurri, ma mi ci è voluto un giorno per riprendere coscienza della dimensione corporea di quello che avevo davanti, per essere sicura che fosse reale…
E insomma così, sono trascorse le giornate come minuti, siamo andati a Boston, a New York dove è stato bravissimo a guidare nel caotico traffico della città più rompi palle del mondo – ma quanto è bella! – e poi i giri per i vari negozi per trovare i regali per voi, o gli oggetti che avevate espressamente richiesto, birichini! Abbiamo anche avuto modo di macinare chilometri di strada fatta a vuoto quando ci siamo persi per cercare un preciso mall nelle vicinanze del campus con mille amenità e poi siamo tornati in camera senza niente in mano, stanchi, distrutti e rimbecilliti da indicazioni stradali e passaggi di ogni tipo.
Un giorno, per caso, abbiamo visto in lontananza una partita di baseball di una squadra locale in zona Springfield, e sai che a lui piace tanto, ma non siamo riusciti a prendere le palle che uscivano dall’area perché c’era sempre qualcun altro più lesto che si lanciava in aria e riusciva a raccattarle prima di noi. La sensazione che ti rimane dopo i secondi di speranza e fremito da “la prendo, la prendo!” è come dopo uno scarico di adrenalina: fastidio. Molto fastidio.
Ogni tanto c’è stato qualche leggero screzio, perché io volevo scattare foto in ogni dove, giusto per salvare i momenti trascorsi insieme dopo tanto tempo e soprattutto perché: quando ci sarebbe ricapitato di avere ricordi indelebili nella dreamland americana? Ma a lui queste pratiche non garbano, e non è nemmeno tipo da molte parole, visto e considerato che ai “ti voglio bene” risponde con…
…esatto, con il silenzio.
Non sono mancati i momenti più belli, quelli in cui si rideva anche per nulla, quelli in cui si scherza o io gli facevo il solletico perché sono una rompipalle infernale. Ero contenta che lui fosse qui, che vedesse dove stavo, cosa facevo, in particolare le lezioni a cui ha partecipato.
Poi è finito tutto così, come uno schiocco di dita e quando è dovuto partire è stato straziante, mi si bloccava il fiato perché qui, dopo mesi e giorni di emozioni di ogni tipo, di castelli costruiti in aria distrutti dalla cruda realtà dei fatti, lui è stato il mio bastone, mi sorreggeva emotivamente come lui sa fare e, sapendo che c’era lui, io mi sentivo più leggera e seguivo le mie faccende contenta, la preparazione delle lezioni, l’insegnamento, i corsi di arte. Tutto.
Oramai mi sono già riabituata ad essere di nuovo sola: anche se ci sono le altre amiche e colleghe, la sensazione che rimane è sempre quella di essere solo io. In compagnia di me stessa. E so che manca poco al mio ritorno, ma sembra sia ancora un’eternità.
Ti racconto un aneddoto simpatico per chiudere questa lettera: il giorno in cui è arrivato avevamo cenato alle undici passate perché abbiamo fatto un giro per il campus con tutti che si fermavano per conoscere questo sconosciuto straniero. Arrivati in camera lui era praticamente a pezzi a causa dell’ aereo, il jet-lag, l’ora tarda e la pesantezza da triplo hamburger con pancetta e patatine fatto appositamente per l’ospite, dallo chef del Blanchard Campus Center dietro mia richiesta. Nel bel mezzo della notte è suonato l’allarme e abbiamo dovuto fare la prova antincendio con tutto lo stabile alle due di notte, forse più tardi. Era l’unico ragazzo e in mezzo ad un’orda di ragazzine di tutto il dormitorio. Alto com’è, spiccava sulla mischia e mentre la campus police dava direzioni per rientrare in camera, erano tutte voltate a guardare l’alieno che accompagnava l’italiana TA! Erano mesi che la voce della prova antincendio correva nel campus, quando doveva capitare? Se non è coincidenza questa!
Torno presto. Un abbraccio. Lora.
Zoom out dalla lettera al nero dello schermo vuoto.
Fine episodio.