Il relitto dell’Hamata
Mar Rosso, Sud Egitto. Caldo, sabbia, gas di scarico. Non è certo quello che mi aspettavo. Gli attimi prima di un’immersione, sono carichi di aspettativa ed emozione e sono infastidita.
La guida egiziana srotola un briefing sommario, costituito da tante regole che pesano come catene ai polsi. Continua a ripetermi che devo stargli vicino, nemmeno scendessimo sul Titanic, povero illuso!
Mi allontano girovagando tra i tanti cumuli di bombole e attrezzature, dobbiamo aspettare il nostro turno per immergerci: benvenuti nel mondo del turismo subacqueo di massa!
Ascolto i tanti divers parlare in inglese, tedesco, russo e finalmente, in italiano. Mi avvicino e cerco di fare amicizia, non è necessario sforzarsi, adoro la nostra italianità nell’accogliere i consimili!
Chiedo informazioni. Voglio conoscere le vicissitudini di questo relitto: “…da dove proveniva? Dov’era diretto? Che cosa trasportava? Perché è affondato? Ci sono state vittime?”.
Senza conoscere questi dettagli, non posso raccontare niente, le foto non avrebbero carattere.
Finalmente ottengo delle risposte. Il relitto dell’Hamata, è un mercantile battente bandiera egiziana, in navigazione verso Suez. Trasportava pallets di plastica.
Incagliatosi sul reef, per cause sconosciute, è affondato senza lasciare vittime. Giace su un fianco, a circa quindici metri di profondità. Inondato di luce, mi dicono essere una “chicca per fotografi“.
Non sono esaltata all’idea di scoprire da me, se questo relitto sia una chicca o no.
Il mio interlocutore romano, sembra percepire la sensazione di disagio che mi pervade. Scatta l’invito: ” immergiti con noi, siamo cani sciolti, non dipendiamo da nessuno. Campeggiamo poco più avanti, le nostre famiglie, ci aspettano dopo l’immersione per una bella spaghettata, se vuoi…”.
Vorrei accettare, il diving che mi ospita è gestito da tedeschi e con me non c’entrano molto, ma mi lega a loro un contratto. Sì, questa volta m’immergerò solo per soldi. Saluto i nuovi amici promettendo di raggiungerli a fine immersione per una birra. Alla faccia di chi sostiene, che è meglio non bere bibite gassate o alcolici dopo l’immersione.
Bombola in spalla, macchina fotografica alla mano, ci immergiamo. È come essere in autostrada: quattro corsie, due in un senso, due nell’altro. L’irritazione cresce, non sarà facile fotografare il relitto, con tutta questa gente in acqua.
Le bolle disturbano in foto, gli editori le odiano, ma non ho alternative.
Persa nei miei pensieri, non mi accorgo di essere ai piedi della poppa dell’Hamata.
Resto a bocca aperta, non tanto per le dimensioni, ma per la luce. Gli amici italiani non avevano esagerato, è meravigliosa.
I “tienti bene” sono stati colonizzati da coralli duri. L’asta della bandiera a poppa, ora regge dei magnifici agglomerati corallini.
Come avevo immaginato, un formicaio di sub, brulica tutto intorno. M’inginocchio sul fondo sabbioso e aspetto, tutto in natura tende all’ordine, e prima o poi, anche l’uomo!
E così è, tutto sommato, la presenza umana gioca a mio favore, regalando la giusta proporzione ai fotogrammi.
La nave è squarciata a metà, la prua oramai è ridotta a un cumulo di rottami. All’interno del relitto migliaia di “glass fish” nuotano spostandosi all’unisono a ogni colpo di flash.
L’irritazione iniziale si è trasformata in euforia creativa. Riesco perfino a trovare gradevole, il goffo tentativo della guida di risultarmi simpatico, fingendo di chiamare da un telefono di bordo.
Continuo a girare in tondo, piccoli pesci brucano le incrostazioni sulla murata di sinistra. Non c’è traccia del carico di plastica, forse è stato recuperato o molto probabilmente si è disperso in mare.
Calma e serenità sono di nuovo in me. A fine immersione, liquido gentilmente il galoppino del mio committente, e me ne vado a pasteggiare: spaghetti e birra, viva l’Italia!