Un paese per (maledetti) vecchi
La vecchiaia è spesso dipinta coi contorni sfumati della metafora. Sarà forse perché non ci si vorrebbe arrivare mai; sarà perché così facendo si crede di poterla tenere a bada, più distante, e nel frattempo di poterne smussare gli angoli, edulcorarne i contorni parlando d’essa come il far della sera, il crepuscolo della lunga giornata, il riposo del guerriero, e dei vecchi come strani esseri maturi e saggi, cui convengono onori e rispetto per il sol fatto d’esistere ancora, dalle cui labbra si solga cadere, e ai quali – sia sempre ben chiaro – si deve cedere repente il posto in autobus.
La verità è che come i vecchi rompono i coglioni, nessuno mai. Ed è ora che qualcuno lo dica, e che si denunci quella loro dannata, ostinata testardaggine a non voler farsi da parte, a voler sempre dir la propria, proferir parola immancabilmente preferendo ai tempi presenti quelli andati, quando qui – vedi – era tutta campagna.
I miti che accompagnano la vecchiaia nei nostri tempi appaion più forti di quelli della gioventù, dei Dorian Gray e dell’Oh Giovinezza! d’annunziana, che peraltro accompagnavano i tempi della vigoria fisica di coloro che oggi son vecchi: lesti pertanto – furbi i nonni! – a modellare sulla superficie della storia il mito che di volta in volta lor più convenga.
Così la saggezza illuminata del bisnonno coprirà il fatto che abbia preso lo scolo violentando negre in Eritrea, e che ne risenta ancora. Così l’astuzia politica del vecchio sarà la via democristiana della cautela, ché così l’esperienza insegna, e non il consueto losco traffico d’influenze che avvelena oggi come allora i palazzi del potere, resi logori dall’arraffazzonare imperterrito d’occhi catarrattici che a dispetto dell’età non mollano la presa e pensano ancora a come riempir le saccocce.
Così il giovane non sarà sagace ma impulsivo, non sarà svelto ma incauto, non sarà brillante ma inesperto, e il nonno comunque, alla sua medesima età, avrà sempre avuto almeno un anno in più. E’ così che si costruisce la gerontocrazia, il paese per vecchi che è l’Italia contemporanea, fatta di giovani costretti a proiettare altrove sogni e speranze perché le dentiere dei loro nonni s’aggrappano strenuamente a poltrone e poteri, procurando nocimento ai costumi ed alla cultura del nostro popolo, ché si sa quanto i vecchi abborrino le innovazioni, loro che sì il computer è utile, ma troppo tempo lì davanti fanno male gli occhi, e comunque le operazioni è sempre bene saperle fare a mano.
Il primo dicembre 1955, a Montgomery, l’attivista di colore Rosa Parks rifiutò di cedere in autobus il proprio posto a un bianco appena salito sulla vettura. Fu l’inizio di una rivoluzione culturale. Fate così col prossimo vecchio arterosclerotico che incontrate, non cedetegli più il posto e lasciate che gli dolgano i calli ai piedi. Magari scoppia un’altra rivoluzione culturale e cambia qualcosa in questo dannato paese.
Ti sembro stronzo? Scusa, sto provando solo a mettermi in un punto di vista diverso dal mio, magari mi convinco. Non ti sembro stronzo? Spiegami perché nei commenti. E se vuoi approfondire, vai a leggere quaggiù la presentazione di questa mia rubrica.