Piange il cielo su Mar Musa
Trecento…trecentouno…trecentodue…
I gradini si susseguono in ripida salita, ocra come la roccia del monte, fin su al monastero. Arriviamo in cima alla rampa e abbiamo il fiato corto, la gola arida dalla sete e una voglia indicibile di sederci all’ombra a tirare il fiato. Ma dalla terrazza la vista è spettacolare e ansimanti ci appoggiamo alla balaustra tuffandoci con lo sguardo nel deserto rosso.
Il monastero di San Mosé -in arabo Deir Mar Musa Al Habashi– fu fondato nel cuore del deserto siriano, 80 km a nord di Damasco, tra i monti in cui secondo la tradizione Mosé, figlio di un re etiope, rinunciando al trono decise di stabilirsi per condurre una vita da anacoreta. A distanza di millenni la scelta ci sembra ancora giustificata: Mar Musa é tutt’oggi il luogo ideale per scrutare dall’alto la propria vita.
L’odore dolciastro dell’incenso satura l’aria della piccola chiesa dalle volte basse ed il fumo sale denso verso l’alto, dileguandosi al contatto con i volti di martiri proto-cristiani dalla serenità imperturbabile. Nella semioscurità danzano i monaci insieme alle candele, il canto riempie le nicchie e ci tiene sospese nel surrealismo del momento.
Padre Paolo sta seduto a gambe incrociate sui tappeti ruvidi, scalzo come tutti noi, tra i membri della comunità da lui fondata. Sono monaci e monache di rito cattolico e ortodosso, vivono in questo ritaglio di deserto affidandosi alla provvidenza e non negando mai a nessuno un letto o un pasto caldo. Alza l’ostia verso il cielo e recita in arabo le formule della consacrazione. E più che un ostia si tratta di un pezzo di pane comune, quello non lievitato, che viene fatto girare affinché ognuno ne prenda un po’.
29 luglio 2013. Il gesuita Paolo Dall’Oglio, romano di nascita e siriano di adozione, viene sequestrato nel nord della Siria, all’altezza di Raqqa, da un gruppo jihadista locale. Espulso nel 2012 dal regime di Assad a causa della solidarietà dimostrata verso i manifestanti e i ripetuti appelli lanciati alla comunità internazionale affinché intervenga per evitare la guerra civile, rientra segretamente nel Paese nel febbraio 2013 per negoziare con gli esponenti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante la liberazione di un amico tenuto in ostaggio. A differenza di Quirico, le sorti di Padre Paolo sono ancora incerte e la Farnesina evita tuttora di pronunciarsi in via definitiva in merito alle sue condizioni.
La colazione del mattino, come ogni altro pasto, la si consuma seduti insieme allo stesso tavolo, sotto una tenda multicolore, servendosi dallo stesso piatto. Ci sono cetrioli e pomodori, c’è del formaggio, dello zaatar e del miele. A Mar Mousa il cibo arriva una volta al giorno, verso le tre del pomeriggio. Un furgoncino con le scorte parte regolarmente dalla cittadina di El Nabk e viaggia quarantacinque minuti nel deserto per arrivare ai piedi del monte e caricare le vivande in un sistema di carrucole che le trasporta fin su al monastero. I monaci ci assicurano che acqua e cibo qui non mancano mai.
8 aprile 2014. Frans Van der Lugt è olandese, gesuita e legato al popolo siriano da un vincolo indissolubile. E’ l’ultimo europeo ad essere rimasto ad Homs, roccaforte dell’insurrezione, nonostante l’assedio, i bombardamenti e le rappresaglie. Tre mesi fa si è appellato alla comunità internazionale affinché evacuasse i civili. “Non accettiamo di morire di fame. La gente non trova da mangiare. Niente è più doloroso che vedere le madri per strada in cerca di cibo per i loro figli”. Padre Frans è stato freddato oggi poco dopo l’alba davanti alla chiesa di Bustan Al Diwan, sotto gli occhi di alcune donne. A 75 anni aveva scelto di rimanere a soffrire con un popolo che “mi ha dato tantissimo”: tanto buon cuore, tanta ispirazione e tutto quello che ha”.
La biblioteca del monastero è letteralmente una grotta nella roccia. Le scalette scendono ripide su un piccolo vano luminoso che odora di pietra e carta vecchia. I testi in arabo, in francese e in latino sono riposti con cura negli scaffali di legno, alcuni addirittura tanto vecchi da non essere rilegati. Il bibliotecario, un giovane musulmano dai modi garbati, mi elenca sommariamente ciò che vi posso trovare e non si sforza di nascondere l’orgoglio che prova ad essere il custode di un tale tesoro. E quella biblioteca un tesoro lo è realmente, in quanto parte integrante del progetto avviato da Padre Paolo di incentivazione del dialogo interreligioso tra cristianesimo ed islam. China sui manoscritti dai bordi ingialliti, avvolta dalla solidità della roccia, cedo alla tentazione di sentirmi al centro del mondo.
La notte di San Lorenzo la passiamo a pancia all’aria, con una coperta a ripararci dalla brezza fredda che si alza dal deserto, a contare le stelle cadenti. Niente è più intenso del cielo desertico nelle notti d’estate, e di stelle cadenti quella sera ne avvistiamo parecchie.
Alcuni anni sono passati da quella notte, ma piove ancora sopra Mar Musa. Oggi però sono lacrime di piombo che il cielo piange per un Paese consumato dalla lotta fratricida, per le vite di civili innocenti ingiustamente spezzate, per il lume della ragione che in questa terra si è oramai perso cedendo il passo alla follia.