Il Kurdistan iracheno (parte due), Dalla Città di Hewler (Erbil) al confine con il Kurdistan siriano e Turco
Mi guardo un po’ intorno e noto che gran parte della piazza è stata ricostruita e tutt’ora, proprio vicino all’albergo dove pernottiamo si sta tentando di ristrutturare un vecchio palazzo distrutto dall’ultima guerra.
Sulla televisione passano le immagini dei violenti scontri tra gruppi di Sunniti e di Sciiti avvenuti a Kerkuk, una città poco più a sud di Hewler teatro quotidiano di un’ulteriore disputa tra arabi e curdi sulla predominanza del territorio; gli sguardi silenti delle persone sedute nella chaykanè osservano quelle immagini abituali di brutalità con le quali ormai convivono quotidianamente, leggendo nei loro occhi l’incubo che la violenza già vissuta in anni di tirannia e guerre possa ripresentarsi nuovamente.
Passeggiamo in una piazza che lentamente si addormenta con il passare delle ore, le luci delle chaykanè si spengono e la quiete regna sovrana su Hewler. Rientriamo all’albergo accompagnati dal canto malinconico dell’Adhan delle quattro del mattino che richiama i fedeli alla preghiera, buon giorno Hewler.
La mattina seguente ci dirigiamo verso la zona popolare della città inoltrandoci in alcune vie adiacenti alla piazza centrale; la vita scorre tra la tristezza d’antiche case semidistrutte dalla guerra e la frenesia di botteghe che vendono ogni tipo di cianfrusaglia insieme a splendidi tappeti ornati d’ogni bellezza; usciamo dalla zona per dirigersi verso il bazar che è uno dei più belli che abbia mai visto in vita mia: l’odore delle più variegate spezie si diffonde dando all’ambiente un’aria che mi è molto familiare, perdendosi tra i colori sgargianti degli abiti tradizionali femminili curdi e l’anonimato dei più famosi marchi internazionali; il contrasto fra tradizionale e moderno che si respira in questo bazar è il simbolo di una zona che rimane ancorata ad alcune delle proprie radici tradizionali, lasciandosi lentamente mangiare lo spirito dal nuovo sogno americano.
Dopo avere cambiato alcuni euro con dinari iracheni, ci fermiamo a mangiare in un grazioso ristorante della zona popolare, assaporando una tra le cucine più gustose di tutto l’arco mediorientale; il tempo scorre in fretta e dobbiamo cercare assolutamente un’internet point per controllare la situazione nel nord della Syria ed avere informazioni sul sistema di collegamenti tra il Kurdistan Turco e quello Iracheno. Troviamo un piccolo internet point in un enorme centro commerciale inglese e dentro ad esso il padrone del locale mi chiede un aiuto per potersene andare dal paese; nonostante entrare nel Kurdistan Iracheno per molti curdi rappresenti la migliore delle vie per fuggire dalla repressione politica dei vari stati d’appartenenza, per molti diviene uno scoglio di povertà sul quale imbattersi grazie alle nuove dinamiche di povertà portate dalle logiche di mercato della libertà a stelle e strisce.
Dopo avere fornito il mio indirizzo e-mail ed un recapito telefonico sono invitato a mangiare nel piccolo ristorante di sua proprietà senza tirare fuori un centesimo di denaro. All’interno del piccolo locale si sprecano i commenti sulla libertà del popolo curdo e sulle nuove catene d’oppressione che i nuovi risvolti politici internazionali hanno portato nell’arco di tutto il territorio curdo e nel mondo: dalla Syria, all’Iraq sino al più complesso Iran ed alla terribile situazione Turca, la speranza di molti curdi non è solamente quella di un’unità e d’una fine di un’oppressione infinita nei propri territori, ma la cessazione netta della sua esistenza a livello internazionale, lasciando di passo in passo da parte la cultura nazionalista.
Ritorniamo all’albergo ed il padrone ci fornisce delle buone informazioni su come raggiungere il Kurdistan turco tramite un’agenzia di trasporti locale che fa da spola tra i due territori; la cosa strana è che la città non possiede una stazione dei bus centrale dove poter trovare un qualsiasi mezzo per uscire dal paese, ma vi sono centinaia di piccole agenzie private nelle quali partono e si fermano svariati bus della medesima compagnia.
Arriviamo alla piccola agenzia indicataci dall’albergo e data l’ora tarda la troviamo chiusa senza nessuna forma di vita né al suo interno né all’esterno; poco più distante notiamo un piccolo posto di blocco della polizia curda e chiediamo informazioni sull’arrivo e la partenza dei bus da quello spiazzo. Ci viene comunicato che entro mezz’ora sarebbe dovuto passare un bus diretto a Mardin, una località del Kurdistan turco non distante dal confine siriano. Dopo più di due ore d’attesa le speranze di vedere passare un qualsiasi bus diretto al confine nord dell’Iraq cominciano a sopirsi; gli unici due bus di passaggio raggiungono il sud del paese o Mosul, quindi non vi è alcuna possibilità di raggiungere in nottata il Kurdistan turco.
Le speranze riprendono vigore quando, all’interno di una chaykanè trovata di fronte all’agenzia, alcuni gentilissimi ragazzi si offrono di accompagnarci all’ufficio di un’altra compagnia che offre lo stesso servizio anche durante le ore notturne.
Arrivati all’altro piccolo ufficio poco distante dalla chaykanè, l’ultimo bus diretto ad Amed (Dyarbekir) è ormai partito da più di mezz’ora.
Torniamo verso il centro affaticati dal nervosismo nel tentativo di trovare un albergo che possa fornirci una stanza; la giornata sta prendendo ormai una piega negativa ed ogni albergo nel quale cerchiamo di entrare ha la porta sbarrata o non accetta persone durante la notte.
Decidiamo così di accamparci dentro alla piazza sino alle prime luci dell’alba, quando dopo pochi minuti un tassista si ferma con la volontà di aiutarci; il capitolo tassisti è un tasto delicato di tutto il viaggio, non abbiamo mai avuto una grande simpatia per la suddetta categoria in questo ultimo mese, a causa del regolare tentativo di truffarci in ogni modo e maniera accorso in Uzbekistan ed in Iran. Stavolta cerchiamo di fidarci e mai decisione fu più corretta: l’autista comincia a girare in lungo e largo la zona intorno alla qala per tentare di trovarci una camera a meno di venticinque dollari sino a che con un semplice colpo di telefono veniamo indirizzati verso un discreto albergo nella zona a sud della qala, dove ci riposeremo per meno di dieci dollari a testa; il tassista insisterà per il non farsi pagare ma per ringraziarlo della sua onesta gentilezza gli regaliamo comunque alcune sigarette e paghiamo una ridottissima tariffa.
La notte sta per finire ed il sole comincia ad alzarsi tra le note di un nuovo Adhan mattutino, saluto la qala con l’ultima sigaretta della giornata e mando il mio bacio della buona notte a Hewler con dei piccoli cerchi di fumo.