Dire qualcosa è crederci
Dire qualcosa è crederci. “Impossibile!” direte voi, “posso star qui fino a domani ad affermare che gli alieni esistono senza crederci”. Vero, ma solo in parte. Pensiamo proprio agli alieni: non so se siete mai incappati in uno dei tantissimi programmi che, purtroppo, la TV dedica a riguardo. Io e i miei amici li consideriamo al pari di un varietà, li guardiamo perché ci fanno ridere; in verità quando si è in gruppo la nostra testa funziona in modo un po’ diverso rispetto a quando siamo soli, ma di questo magari parlerò la prossima volta. Dunque è l’una di notte e siamo sul divano alla ricerca di qualunque cosa possa riempire quella mezz’oretta prima di andare a dormire, il nostro programma preferito è già finito – o non è ancora iniziato – così per una volta ci accontentiamo degli alieni.
Seguiamo attentamente per un po’, perché chi vuol essere uomo di scienza deve perlomeno fingere interesse anche per le cose più fantasiose, dopodiché ci accorgiamo di stare lentamente scivolando verso il sonno più profondo. Spegniamo tutto, ci alziamo e andiamo verso il letto. Mentre stiamo per addormentarci pensiamo qualcosa tipo “che cazzata tutte quelle storie sugli alieni…” sicuramente su tante cose che abbiamo bollato come “idiozia” ce ne sarà almeno una che ci è parsa anche solo lontanamente interessante, ma questa cosa di per sé non basterà a farci cambiare idea, e forse neanche a farci venire il dubbio di avere torto. Cosa succede se andiamo invece in questioni più sottili? Vediamo come cambiano le cose aiutandoci con un esperimento dei primi anni ’90 sulla persuasione:
A partire dagli anni ’80 c’è stato un grandissimo interesse nei confronti dell’AIDS, che cominciava a proliferarsi un po’ ovunque nei paesi occidentali con conseguente dispendio di risorse in campagne pubblicitarie che invitassero le persone ad usare i profilattici.
La percentuale di studenti universitari che ne faceva uso era irrisoria, probabilmente perché i preservativi non sono né pratici né romantici, inoltre sono appunto associati a una malattia, e la gente in certe circostanze a tutto vuole pensare tranne che a “la malattia”. In più, si è scoperto che le persone tendono a riconoscerlo sì come un problema, ma un problema non loro; che c’è sì un rischio, ma per la maggior parte di tutte le altre persone, tranne che per loro.
Dei signori di nome Aronson, Fried e Stone allora si inventarono questo simpatico esperimento: a degli studenti universitari fu chiesto di scrivere un discorso in cui descrivere il pericolo dell’AIDS e quanto fosse importante l’uso del preservativo in ogni rapporto sessuale. Alcuni di loro dovevano semplicemente scriverlo, mentre altri dovevano leggerlo di fronte ad una videocamera, dopo esser stato detto loro che il video sarebbe stato mostrato ad un pubblico di giovani liceali. Come se non bastasse a metà dei soggetti (in entrambe le condizioni) fu chiesto di ricordare tutte le volte in cui non avevano usato il preservativo ritenendolo di difficile impiego o imbarazzante.
Ebbene, sentendosi degli ipocriti che predicano bene e razzolano male l’atteggiamento di alcuni di loro nei confronti dell’utilizzo dei profilattici divenne molto più favorevole, e ciò soprattutto di quelli che avevano letto il discorso davanti alla telecamera.
Perché è avvenuto questo? La risposta è nel concetto di dissonanza cognitiva, che indica il coesistere nella persona di due cognizioni, cioè pensieri o opinioni, in contrasto tra loro. In sostanza c’è una differenza tra quello che le persone pensano di sé stessi (tutti bravi, buoni, saggi e corretti) e i loro comportamenti (che non ci sto manco a perdere il tempo ad elencarli). Quanto più le persone sentono questa differenza tanto più cercheranno di ridurre la dissonanza che ne deriva adottando una di queste tre soluzioni: cambiare il comportamento “galeotto”, giustificare il comportamento cambiando una delle cognizioni, giustificare il comportamento aggiungendo nuove cognizioni.
L’esempio tipico, riportato in qualunque libro parli di dissonanza cognitiva, è quello del fumo: i fumatori sanno che fumare fa male. Alcuni provano a smettere e ci riescono, ma altri no, e non mi pare che questi altri si rassegnino ad attendere la morte. No, costoro sono pronti ad affermare qualunque cosa pur di ridurre la dissonanza: “il filtro blocca la maggior parte delle sostanze nocive”, “le sigarette che fumo io sono leggerissime, è come fumare l’aria”, “si è vero che fa venire il cancro però rilassa, riduce la tensione nervosa”, tutte cose che all’orecchio di un non fumatore suonano assurde, eppure è ciò che realmente le persone dicono, ed è per questo che la dissonanza cognitiva è un concetto molto interessante.
Così, tornando al nostro esempio, le persone che hanno sperimentato un’alta dissonanza nel raccomandare a dei giovani liceali di usare precauzioni nei rapporti sessuali pur essendo i primi a non farne uso sono stati portati a modificare il loro stesso comportamento. Anche gli altri, quelli che il discorso l’avevano solo scritto, hanno sperimentato una certa dissonanza, ma minore, per questo probabilmente avranno adottato una strategia diversa (meno radicale) per ridurla, come ad esempio dirsi “sono sicuro che tutte le persone con cui l’ho fatto erano sane”. Quindi, ritornando agli alieni, scrivere un discorso sulla loro esistenza e recitarlo, anche impararlo a memoria, può non avere nessun tipo di effetto su di noi perché, non me ne vogliano gli ufologi, non c’è nessuna dannata prova dell’esistenza di quegli esserini, e se domani andrò in giro a dire che gli UFO non esistono non mi sentirò un imbecille, non c’è dissonanza e quindi l’immagine che ho di me stesso non sarà compromessa. Per il resto… attenti a non fare gli ipocriti, per non dire i para… ci siamo capiti!