Le migliori canzoni sono quelle che ascolti da adolescente
Le migliori canzoni sono quelle che ascolti da adolescente. Quando sputi sangue dentro e quello sconosciuto che canta sembra possa davvero salvarti, urlando con la tua stessa rabbia. Che magari è finta, che magari è riproduzione artificiale, ma comunque dà voce a quello che hai nel profondo.
Io una decina di anni fa ho adorato Anastacia: questa cantante americana, bassettina, bionda, tettona e col vocione e gli occhiali sempre addosso. La conoscevo già dai tempi di I’m outta love, ma non era ancora passione. La passione è arrivata dopo, mentre i giornali diffondevano la triste notizia del suo tumore al seno. Io sentivo quella voce potente e la immaginavo malata e nei miei sensibili tredici anni mi rattristavo oltremodo. Mi sono avvicinata al fan club in cui ho stretto amicizie che conservo tuttora, ho collezionato sul computer migliaia di foto, raccolto trafiletti ed articoli dove comparisse anche soltanto il nome di Anastacia: era il mio fanbook, di cui andavo gelosissima e che gli altri fan mi invidiavano. Ignoravo tutta una serie di altri ed altre cantanti che avessero dato prova di un coraggio e di una forza simile a quella di Anastacia nella sua lotta alla malattia: a me non serviva un elenco di personaggi coraggiosi, me ne serviva uno da adorare e in cui immedesimarmi, uno che mi facesse credere davvero che nella vita con un po’ di coraggio tutto si può. Anastacia mi aveva convinta con le sue note, i suoi acuti. Quando andavo in Libano compravo le sue patatine fritte preferite, che in Italia non sono in commercio, e attendevo con ansia il giorno dell’uscita dei suoi singoli per comprarli in originale, e sapevo a memoria la gestualità di ogni singolo istante dei video dei citati singoli. Nel frattempo Anastacia, guarita, era tornata con un nuovo album omonimo, che ho amato forse più di tutti e che con Heavy on my heart mi ha fatto piangere e trattenere lacrime al punto di risparmiarmene l’ascolto quando non avevo intenzione di sentire un peso al cuore e tenerlo lì dentro. Quante ore sotto gli hotel, poi, per non parlare di una fuga fino a notte quando ancora di uscire la sera non se ne aveva il permesso. Ero così adolescente, per farla breve: così bisognosa di qualcuno a cui appigliarmi per tentare di andare avanti, qualcuno a cui dovere qualcosa che poi forse dobbiamo soltanto a noi stessi/e.
Quando sono cresciuta ho iniziato a cogliere quanto Anastacia sia – come tutti gli altri personaggi che non ho scelto di seguire, visto che la scelta di Anastacia è una fra tante – anch’essa personaggio. Quella che ormai tutti sanno essere solare, forte, combattiva, un po’ aggressiva, occhialuta, positiva, ridanciana, sensuale. Una cantante commerciale pop-rock come tante, quindi, senza nulla togliere alla sua meravigliosa voce.
Però quando Anastacia qualche anno fa è venuta a Roma, io sono andata ugualmente ad attenderla agli studi della RAI, perché anche avendola vista a qualche concerto ed essermi trovata ad un passo dallo stringerle la mano nella bolgia di una delle nottate agli hotel, lei non aveva mai visto me e non avevamo mai parlato. Che sia pura suggestione adolescenziale o meno, io ad Anastacia dovevo tanto e lei doveva saperlo: mi sono fatta il mio pomeriggio agli studios, l’ho abbracciata, ci ho scambiato pacatamente un paio di frasi.
Ora Anastacia torna con un nuovo singolo, Stupid Little Things, e io sospetto ritocchi alla voce ed un’eco troppo forte dell’album “Anastacia”, ma la apprezzo uguale perché sono di parte e ormai ce l’ho stampata dentro. Perché è inutile rinnegare la follia adolescenziale e tutto quello che ha scatenato e non lo si può certo cancellare.
Non so se mi ricapiterà di azzardarmi a dare così tanto ad un personaggio, ad un VIP che non conosco, se mi capiterà di illudermi che persone sconosciute possano influire tanto nella mia quotidianità. Penso piuttosto che serrerei le porte del cuore molto prima di farle avanzare. Gusterei una canzone, due, tre, ma a debita distanza. Forse si chiama soltanto “crescere”, ma credo che le canzoni più belle siano quelle che bruciano dentro quando hai tredici anni.
Poi arriva l’università, e l’obbligo di perdere ogni entusiasmo e di conformarsi ad ascoltare musica anticonformista anche se ti annoi. O magari è soltanto una mia ironicamente traumatica vicenda personale.