Tenera è la notte
Curzio Mainardi odia il proprio lavoro. Non perché sia faticoso o sgradevole in sé. Sgradevoli sono le frequenti conseguenze. Controlla i biglietti sull’autobus. Salgono sempre in due, uno davanti e uno di dietro, trasformando l’autobus in una tonnara del biglietto. Si comincia con il primo “Prego biglietto signori” e si va avanti così. Lavoro semplice e poco impegnativo. Che diventa logorante al primo caso di assenza totale o di mancata timbratura del biglietto. Qui si scatena in genere la caccia al biglietto che non c’è, con un attento frugare in ogni tasca o angolo di borsa. Curzio odia tutto questo, non gli piace mettere in imbarazzo il prossimo, seppure colpevole, davanti a un pubblico curioso che con gusto farisaico guarda gli altri inciampare in un piccolo processo a scena a aperta. Non gli piace perché alla fine, di solito, il cattivo pagatore è uno al quale fa comodo risparmiare anche quell’euro. Ma lui deve fare il suo lavoro. Comincia perciò, mentre le scuse più disparate affollano l’autobus, a tirare fuori il libretto delle sanzioni dopo avere chiesto gentilmente un documento di identità, che talvolta neppure c’è.
Spesso si tratta di extracomunitari, ma non mancano certo i nazionali, senza dimenticare gli ingenui o furbacchioni turisti. Si è sempre chiesto come faccia un giudice a mandare in galera la gente, sebbene colpevole, e ora tocca a lui infliggere pene e per di più in pubblico. Certo cinquanta euro non sono la fine del mondo, ma in qualche modo rappresentano l’ufficializzazione di un tentato inganno, di una piccola truffa, con annessa sanzione, un piccolo patibolo itinerante. Forse esagera gli effetti del suo compito. Anche i colleghi, quelle rare volte nelle quali ha parlato di questo fastidio, hanno convenuto sulla assurdità di simili scrupoli. ”L’autobus si paga, altrimenti che fine farebbero i nostri salari?” Questo è il commento, e chi non vuol pagare deve pagare di più. “Facciamo un lavoro per la collettività”, dicono. Alla fine Curzio ha capito: ciò che lo infastidisce è la pubblicità, il dover fare queste cose davanti a tutti, senza riservatezza. Pazienza, è il suo lavoro che, malgrado tutto, lui compie con zelo. Sente di fare un lavoro di pubblico interesse anche se alcune modalità lo infastidiscono e gli creano ogni tanto non delle crisi di coscienza ma dei semplici ripensamenti.
A casa lo aspetta la moglie Franca con i figli piccoli Mario ed Elisa. Gioca un po’ con lo loro poi si cena. La moglie è brava, lavora in comune, ma tiene comunque bene la casa e la sua cucina non è niente male. “C’è un bel film sul secondo” annuncia Franca. “Ah, bene. Ma io esco con gli amici…” “Anche stasera, ma che fate?”. “Niente di particolare, si passa un po’ di tempo insieme, lo sai che mi rilassa”. E’ dispiaciuta, vorrebbe essere lei il calmante, ma è un brav’uomo e un bravo padre. Il controllore esce, la sera è fresca e nebbiosa. Gli amici lo aspettano nella solita piazza. Di lì potranno cominciare il giro. C’è troppa razzumaglia per le strade la notte. Qualcuno deve fare qualcosa, l’ordine pubblico non è onnipresente e onnipotente. Poi la notte, con il suo buio, è accogliente, calda anche quando è fredda, si può fare di tutto al suo riparo. Anche riportare un po’ d’ordine nella città martoriata da chi non la rispetta.