Arrivederci Australia, Gagliardi torna a casa
Eh già! Proprio così! Una volta giunti a Melbourne, io e il mio team abbiamo deciso di fare il grande salto: tornare a casa. Dopo mesi di ricerche, lavoretti saltuari durante i primi mesi di permanenza, e un road trip di un paio di settimane che ci voleva proprio per non tornare a casa a bocca asciutta, abbiamo fatto le valigie e siamo saliti sul primo aereo per Venezia.
Nessuno era al corrente dei nostri piani o delle nostre intenzioni, tranne un paio di complici accuratamente addestrati per mantenere la segretezza e far riuscire la sorpresa ad amici e familiari. Una partenza un po’ sofferta, in quanto l’indipendenza e il vivere in terra straniera è certamente più affascinante del faticare nuovamente, per l’ennesima volta, nella ricerca di un impiego in una patria violentata dalle istituzioni e presa in giro dalla giustizia, ma non aveva senso restare. Ci sono, eventualmente, altri luoghi in cui cercar fortuna.
Lunghe ore di attesa in due aeroporti per ritardi non previsti, aria condizionata che ti asciuga perfino il cervello, sballottamento psichico e vuoti d’aria in volo hanno contribuito ad appesantire lo stato d’animo quando, in dirittura d’arrivo, i pensieri si aggiravano quasi tutti sul tema “ma chi me lo ha fatto fare? Perché ho deciso di tornare?”. Ma ormai è tardi: le due giornate di viaggio sono giunte al termine e siamo di nuovo a casa.
Non c’è da meravigliarsi se, all’attesa presso i nastri trasportatori del ritiro bagagli, quasi tutti ci si guarda un po’ affranti. La sensazione che si ha all’arrivo nella nostra terra non è felicità e nemmeno sollievo anzi, sento persone parlare al telefono e dire “no, non posso dirti fra quanto esco, sto ancora aspettando la valigia! Eh sì, lo so che ci mettono una vita, ma siamo in Italia, cosa ti aspetti? Già è tanto se mi arriva il bagaglio… sempre che mi arrivi!” Mi sento sconcertata. Qui, non è cambiato nulla e soprattutto, le persone invece di darsi una spinta, per lo meno emozionale, tendono a buttarsi ancora più giù, disprezzando tutto ciò che vedono intorno, senza rendersi conto che fanno parte anche loro di questo sistema, di questo meccanismo che ha qualche perdita e che, se si va avanti così, è destinato solo ed unicamente alla rottamazione.
Io ho una preoccupazione in più. Mi chiamo Gagliardi, e ultimamente questo cognome è stato reso ahimè – tristemente – famoso, da una persona che con i miei geni non ha assolutamente nulla a che vedere, ma che purtroppo mi è omonima. Mi sale l’angoscia del controllo dogana. Penso: “Vuoi vedere che questi adesso vedono Gagliardi, dall’estero, faccia non molto rassicurante perché mi mangerei il primo essere umano irritante in un boccone, e mi fanno aprire la valigia per controllare se anch’io, potenziale parente di questa Dama Bianca, sono talmente furba da portarmi un carico del peso di un bambino in cocaina e sostanze stupefacenti?”. Porgo il passaporto alla guardia dello sportello dogana, cerco di non incrociare lo sguardo per non incappare in qualche occhiata fraintendibile e attendo coraggiosamente.
“Grazie, arrivederci!”
“Ma grazie a Lei signor poliziotto doganale, per fortuna che Lei i telegiornali non li guarda e le notizie non le legge” o semplicemente è chiaramente intelligente quel che basta per capire che il mio cognome non mi pregiudica. Forse, non ha nemmeno visto come mi chiamo o dato uno sguardo alla mia foto, perché noto non con sorpresa, che delle due file, una per cittadini EU e l’altra per “extracomunitari”, la prima è quella che passa il controllo a velocità della luce, mentre la seconda manca poco che debba passare attraverso i raggi ics. Bentornati in Italia!
Per quanto tutti mi prendano in giro per questa cosa, è tornato l’odore di paese italiano; l’aria italiana che è così diversa da quella che ho respirato per sei mesi! Mi è nota a tal punto da suscitarmi quelle sinestesie che altre volte ho nominato e che mi sono care il più del tempo, mentre in queste occasioni scatenano solo ricordi non piacevoli, reminiscenze un po’ fastidiose che è quasi come se ti facessero una schicchera a lato dell’orecchio. Il sole non scalda come nel deserto, non ci sono i quaranta gradi in clima secco del Northern Territory dove, dopo essermi lavata i capelli, in cinque minuti si asciugano come se avessi usato un phon intergalattico, e quando esci la sera per salutare gli amici per lasciare loro il souvenir, ti scusi dicendo “non mi ricordo più come ci si veste”, mentre tremi di freddo, indossando magliettine leggere e scarpe senza calzini.
Una delle mie canzoni preferite, Walk dei Foo Fighters dice “getting good at starting over, every time that I return“, letteralmente “diventando brava a ricominciare, ogni volta che torno a casa” e quindi ora vediamo se è realmente così. Devo ricominciare a guardami attorno, a trovare offerte di lavoro inesistenti e a finanziare le mie ricerche con gli spiccioli che guadagno in traduzioni saltuarie e cosine simili. Nel frattempo, chissà che riesca nell’impresa di attuazione di taluni progetti antichi, ossia quei sogni degli anni scorsi, lasciati al loro destino ormai stanca di provare, e che ogni tanto ritornano a bussare alla mia porta in quelle notti in cui fatico a staccare il cervello e resto sveglia a riflettere. ( E giuro, non c’entra la cocaina della Gagliardi Federica, non Laura!)
OzzieNotes giungerà a termine a breve, non prima di aver riportato qualche foto per la gioia di tutti, soprattutto di coloro che, come la nonna, non potendosi muovere, viaggiano con la fantasia attraverso le mie immagini e i miei racconti. Arrivederci Australia! Arrivederci Alex Del Piero che mi devi un’intervista per Facciunsalto.it! Arrivederci tramonti troppo belli per essere veri! Arrivederci sogno australiano che non sei per tutti! Au-revoir!
Cheers mates!