Il Kurdistan iraniano, tra Senna (Sanandaj), Kamyaran ed il villaggio di Palangan
La notte passata in bus tra Esfahan e Sanandaj scorre in fretta, così all’apertura degli occhi mi trovo di fronte ad un panorama fatto d’imponenti massicci rocciosi e di piccole case arroccate che si estendono verso cime innevate. Siamo arrivati nel Kurdistan iraniano e sin da subito si nota una netta differenza con altre zone dell’Iran visitate in precedenza sia dal punto di vista naturalistico, sia dal particolare quadro sociale che ci si presenta innanzi: gli uomini e le donne vestono in gran parte i classici abiti tradizionali curdi, tra i più particolari di tutto l’Iran. Quelli delle donne hanno colori sgargianti con trasparenze velate all’altezza delle caviglie e sottili veli sulla testa che lasciano intravedere quasi del tutto la bellezza dei capelli, mentre gli uomini indossano i tipici pantaloni a vita alta legati con delle enormi fasce ornate e delle camicie di differenti modelli immesse perfettamente dentro ai calzoni.
Scendiamo dal bus ed il freddo pungente di una mattinata in montagna ci entra nelle ossa gelando le parole e la voglia di muoversi; il mio sguardo si sposta continuamente tra l’abitato che si adagia su vette spigolose e gli occhi fieri di un anziano signore seduto su di una panchina di fronte alla mia postazione che mi accenna un timido saluto in lingua curda, lasciandomi intendere con gioia dove sono approdato. Una ragazza ci viene incontro col marito per chiederci se avessimo bisogno di una mano, così dopo avere gentilmente spiegato la nostra esigenza di raggiungere il centro, veniamo accompagnati da un bizzarro tassista che contratterà in lingua curda, una corsa per la città a meno di cinquanta centesimi a testa: benvenuti in Kurdistan! La città si sta svegliando, sono ancora le sette di un Venerdì mattina e poco a poco si cominciano a vedere le prime persone passeggiare lungo la via principale della città a godersi l’aria fresca delle prime ore dell’alba. A differenza di altre città iraniane ligie al calendario musulmano, a Sanandaj qualche negozio apre comunque i battenti nonostante il giorno festivo. Così, come sempre adoro fare nelle mie passeggiate di prima mattina, mi soffermo ad osservare il lento levarsi della vita in una città a me sconosciuta, osservando ogni piccolo e banale particolare di alcune attività quotidiane.
Ci dirigiamo verso un piccolo albergo economico contrattando il prezzo di una camera abbastanza spaziosa a non più di dieci euro ciascuno, dopodiché ci tuffiamo sul letto per poterci tonificare in attesa di andare alla scoperta dell’interessantissimo Kurdistan, partendo da questa misconosciuta e graziosa città. Usciamo accorgendoci troppo tardi di avere dormito per più di sei ore, così appena messi i piedi fuori dall’albergo, lo scenario che ci si presenta sembra quello di una città completamente differente rispetto al mattino. La vita scorre frenetica, sul marciapiede non vi è spazio per passare e la gente sembra essere tutta vestita a festa.
Le poche sale da tè (chaykanè) aperte sono colme di anziani signori che si gustano il loro abituale chay osservando in silenzio il passare del tempo e delle genti; trovare persone vestite in abiti occidentali è molto raro, così come vedere chador scuri o hijab troppo zelanti. Come ricordato in precedenza gli occhi si perdono nell’osservare i colori vistosi degli abiti femminili che non ti lasciano intendere più di tanto di trovarti ancora nella medesima repubblica islamica. Perdersi tra tutti quegli sguardi e quei sinceri saluti di gente giovane ed anziana non lascia il tempo alla tua mente di ragionare sul da farsi per la giornata, i continui sorrisi dei bambini e delle famiglie interessate a scambiare qualche parola con i passanti stranieri occupano la gran parte delle prime ore passate tra le vie di Sanandaj. Dopo qualche tempo decidiamo di recarci in visita ad un’antica casa tradizionale curda adibita ora a museo delle tradizioni locali; il cortile della casa è molto ampio, attorniato da splendidi muri decorati con semplice genuinità con al centro una piscinetta contenente una piccola fontana. Dopo una breve visita al museo interno, decidiamo di uscire nuovamente per avvicinarci ad osservare un artigiano che sta intarsiando il legno con una cura ed un’abilità che ci lascia allibiti per la delicatezza del tocco e la concentrazione dello sguardo.
Non riesco a staccare gli occhi da quest’anziano signore e dal bambino che gli sta di fianco; gli occhi del bambino sembrano brillare di secondo in secondo vedendo l’opera d’arte che vien fuori man mano che il legno è coccolato dalla mente geniale dell’autore. L’anziano signore dall’aspetto al quanto affabile volta lo sguardo verso Filippo intavolando un tentativo di conversazione in inglese; è incredibile come quella voce sicura e quell’amabile sorriso infondano sin da subito nel tuo spirito una profonda sicurezza ed un senso di cordialità unico. Dopo pochi minuti di spiegazioni varie in merito alle sue meravigliose opere, si presenta allungandoci la mano e stringendocela con energia ripetendo più volte il suo nome, S. e quello del figlio, M. continuando a sorriderci e dimostrarsi alquanto affabile. Non passano neanche dieci minuti che siamo invitati a recarci a casa sua che ci confessa il desiderio d’invitarci a cena e l’onore di presentarci la sua famiglia. Se in Iran situazioni di questo tipo possono capitarti ad ogni angolo di strada in ogni città o villaggio qual che sia, anche nelle zone più remote e dimenticate dall’uomo, nella zona curda non si ha neanche il tempo di respirare l’aria del posto che ci si può ritrovare in pochi minuti nella casa di una famiglia locale senza neanche accorgersene. Accettiamo il gentile invito e dopo dieci minuti siamo già sulla via verso la casa di S.; durante il tragitto oltre a scambiarci piccole opinioni sulla cultura curda e sull’amore che questo popolo ha nei confronti della libertà e delle proprie tradizioni, sin da subito il contato fisico diviene l’ordine primario per il rispetto verso l’ospite e la fiducia reciproca. La mia mano viene stretta in modo sicuro dal padre ogni qual volta vi è da attraversare una strada o un pericoloso incrocio, la schiena viene leggermente sfiorata per ogni piccolo e stretto passaggio lasciandoti sempre procedere per primo; tutte attitudini strettamente formali ed abituali che però lasciano spazio ad una riflessione sulla profonda stima ed il rispetto che queste persone hanno per gli ospiti, cosa che non può che far piacere e farti rilassare. Arriviamo a casa di S. e siamo accolti da una dolce signora che ci fa segno di entrare oltre per esser abbracciati da due ragazzi più o meno nostri coetanei. C’invitano a sederci con loro al centro della stanza in attesa della preparazione della cena che più tardi avremo il piacere di gustare nel bel mezzo di un’atmosfera distesa e di una rara tranquillità.
Le chiacchiere si sprecano tra un chay ed un altro senza accorgerci che il tempo comincia realmente a volare; è incredibile come siamo trattati dalla famiglia, ci sentiamo come dei figli affaticati che hanno bisogno di rianimarsi con la semplicità del calore domestico. Chiacchieriamo degli argomenti più disparati, sorridiamo ad ogni piccola incomprensione e ci troviamo d’accordo su gran parte delle tematiche affrontate, rimanendo piacevolmente esterrefatto per la comune posizione ideologica nel momento in cui abbiamo affrontato la problematica delle genti curde in tutti i territori occupati; sono nella famiglia giusta, mi sento completamente a mio agio e sono felice di trovarmi in questo meraviglioso contesto sospirato dall’arrivo in Kurdistan. E’ tardi e nonostante l’invito a fermarci a dormire nella splendida casa, dobbiamo purtroppo tornare verso l’albergo che ormai è stato pagato rimandando il pernottamento al giorno successivo.
Arriviamo all’albergo e ci addormentiamo sorridendo all’esperienza appena fatta, alla giornata appena passata, brindando con un abbraccio sentito all’arrivo nel meraviglioso Kurdistan. Dopo esserci ben riposati durante l’intera prima notte passata in Kurdistan, ci svegliamo di buon’ora per poterci recare nel minor tempo possibile verso la stazione dei bus e minibus della città, in modo da trovare il primo diretto a Kamyaran dove tenteremo di cercare un altro mezzo per giungere in un villaggio montano splendido e isolato: Palangan. Senza alcun tipo di problema troviamo per poco più di un euro un vecchissimo minivan contornato da alcuni tricolori curdi, alquanto rari da trovare da queste parti. Il viaggio prosegue lento tra strade strette e tortuose nel bel mezzo di un panorama montuoso aridissimo che colpisce per la sua asprezza ed impenetrabilità; alcuni passeggeri cominciano a tentare d’intavolare una piccola conversazione con me e Filippo chiedendoci con un semplice inglese di dove fossimo, sorridendomi alla vista di un braccialetto dai colori curdi che ormai indosso con cura maniacale da più di un anno. Dopo dieci minuti nel tentativo di sperimentare le poche parole imparate nel dialetto Ardalani (variante del Curdo Sorani) con alcuni passeggeri del mezzo, i sorrisi e le strette di mano si sprecano, passando poi per i classici inviti a recarsi nelle rispettive dimore per passare del tempo in compagnia delle diverse famiglie; non abbiamo il tempo per poter fare ciò, ma rimane comunque impressionante la facilità con cui si riesce ad entrare in contatto con la gente del posto, comprendendosi con gesti e piccoli scambi di gentilezze. E’ incantevole, a mio avviso, sentirsi coccolati e rispettati in questa maniera così intensa e viva, avere il piacere di godere d’un sorriso non appena si accenna qualche parola in curdo ed essere trattati come due forestieri in cerca di familiarità e tradizioni.
Arriviamo a Kamyaran dopo poco più di un’ora di viaggio, accorgendoci di trovarci in una rimessa autobus e taxi un poco isolata dal mondo e priva di altri minivan o bus; leggendo infatti attentamente alcune informazioni trovate su internet pochi giorni prima, le partenze dei savari (taxi collettivi) e di minibus locali per Palangan non sono dalla medesima stazione di arrivo a Kamyaran bensì da una semplice rimessa un po’ più a meridione. Allontaniamo alcuni avidi autisti di daar baste (taxi privati) che chiedono cifre assurde per un viaggio di andata e ritorno per Palangan, lasciandoci portare, non dopo pochi problemi di contrattazione, verso Salahaddin Street, dove andiamo alla ricerca di un minivan diretto al piccolo villaggio di montagna. All’arrivo nella rimessa savari e daar baste, riusciamo anche a trovare un minibus diretto a Yoozidar, un piccolo villaggio nei pressi di Palangan dal quale si può riuscire a trovare un passaggio per il piccolo paese se non addirittura giungerci direttamente. L’autista del piccolo minibus, non prima di aver parlato con una serie innumerevole di tassisti, continua ad affermare che quel minivan non giunge a Yoozidar o Palangan, nonostante la scritta sul vetro anteriore dicesse il contrario; cominciamo così a spazientirci un poco, sedendoci nervosamente sul lato della strada attorniati da bizzarri tassisti in cerca d’un buon affare. Dopo pochissimi attimi di leggera stizza, il clima va rilassandosi lentamente grazie ad alcuni simpatici tentativi andati a vuoto di contrattare un deer baste con alcuni autisti per meno di trentamila Rials. Passa pochissimo tempo e finalmente un autista di savari accetta la nostra proposta arrivata a poco più di ventimila Rials a testa, cifra che supera di pochissimo quella offerta dall’anziano signore locale che condivide il posto nel mezzo con noi. La macchina sfreccia ad una discreta velocità su di una pulitissima strada immersa in una grande vallata tra cime rocciose ed immensi prati che si adagiano tra sinuosi colli verdeggianti intervallati di tanto in tanto da piccoli villaggi di terracotta incuneati nell’immenso nulla. Cominciamo a salire d’altitudine raggiungendo alcune alture ed il panorama si fa ancora più interessante grazie al suo aspetto selvaggio, tra lunghi tornanti e piccolissimi caseggiati che compongono un quadretto quasi arcaico della vita quotidiana raro a vedersi. Dopo una lunga serie di curve strettissime, si scorgono per un brevissimo tratto una serie di casette color terra site in una strettissima vallata tra pendii vertiginosi e frastagliati. L’autista ci indica quello spiraglio di vita come il piccolo villaggio di Palangan, siamo in prossimità dell’impianto di allevamento del pesce del paese, dove il taxi dovrà fermarsi in quanto la strada carrozzabile non prosegue oltre.
Scendiamo dal taxi non troppo distanti da un brioso mercatino ittico che rasenta un corso d’acqua che prosegue in direzione opposta alla nostra, inoltrandosi in una gola stretta tra alcune scarpate ripidissime; superiamo lo stranissimo mercato per inoltrarci in un largo sentiero battuto, costruito con pilastri di cemento piantati sopra ad una probabile vecchia mulattiera, dirigendosi verso l’unica direzione percorribile.
Camminiamo nel silenzio regalatoci dalla quiete della natura, tra il verso di uno strano animale ed il piacevole scrosciare dell’acqua del torrente che segue il nostro cammino. La stretta gola ha del meraviglioso man mano che si prosegue nella passeggiata; attorno a noi un’immensità di cime dalla massiccia altezza ed un’esplosione di colori che variano dal verde degli immensi prati sottostanti i rilievi montuosi al marrone chiaro delle rocce che si tuffano sulla strada consumandosi in tonalità rosacee che danno un aspetto incantato al territorio circostante.
Dopo svariati minuti di scarpinata si cominciano ad intravedere alcune piccole casette di terracotta arrampicarsi tra i dirupi scoscesi, mostrando gradualmente il loro ineguagliabile prospetto. L’effetto ottico oltre a quello emotivo è inverosimilmente singolare per la suggestiva visione che si ha del piccolo villaggio man mano che ci avviciniamo ad esso; le piccole case di roccia che si ammassano inerpicandosi verso l’alto danno l’illusione di un villaggio fantoccio, riportando la mente all’idea di un grande presepe costruito tra i monti. La gola si allarga lentamente e Palangan si mostra con tutta la sua bellezza aprendosi in due magnifici caseggiati divisi da un fiume, regalando alla vista uno spettacolo armonico d’irripetibile fascino.
Sono immobilizzato, gelato nello sguardo da così tanta magnificenza e quiete, la sintonia perfetta tra i colori delle case incavate nella roccia e quelli della montagna circostante rendono quel caseggiato ancor più particolare nella sua già incomparabile particolarità.
Potrei rimanere ore ad osservare tutte quelle finestre e quei tetti incastonarsi dalle sponde del torrente sino a centinaia di metri più in alto, ma la voglia di andare alla scoperta della vita degli abitanti tra i piccoli vicoli costruiti tra un’abitazione e l’altra, sradica i miei piedi da quella piccola postazione coperta da una tettoia di paglia dalla quale è difficile scostarsi. C’incamminiamo verso una delle due sponde del fiume cominciando a salire verso l’alto inoltrandoci in un vicolo stretto attorniato da tetti, piccolissimi cancelletti e mura di particolarissime abitazioni. Incrociamo lo sguardo d’un anziano signore che nella sua povertà ci regala la ricchezza di uno sguardo fiero ed un sorriso che non potrò mai dimenticare.
Il villaggio è vivo, tra i vicoli si scorgono donne che guidano il proprio bestiame verso i punti più alti del villaggio e piccoli greggi di capre muoversi tra un tetto e l’altro d’un’’abitazione abbandonata. Una delle più incantevoli caratteristiche del villaggio è la presenza di tetti delle abitazioni che fungono da chiostri per gli abitanti che vi risiedono; è affascinante soffermarsi a contemplare pochi pastori seduti di fianco a mogli che osservano in silenzio il panorama circostante, nella più dolce delle quieti di montagna.
La vita degli abitanti sembra scorrere lentissima, al passo del bestiame che ne gestisce la sopravvivenza quotidiana; ogni tanto mi volto a guardare l’ambiente che mi sta attorno e mi fermo per svariati minuti senza possibilità di sfuggire a così tanta bellezza, versando sul terreno una lacrima di emozione al solo pensiero di essere riuscito ad arrivare a poterne godere liberamente, dopo migliaia di chilometri di viaggio. Passa il tempo e la temperatura comincia ad alzarsi, continuiamo a salire sino a che il mio sguardo rimane folgorato da un discreto signore seduto su di un tetto, immobile e concentrato principalmente sul suo gregge che bruca dell’erba su di uno spiazzo poco più in alto.
Cerco di avvicinarmi verso la sua abitazione e vedo che puntualmente mi viene fatto cenno di entrare nel proprio chiostro invitandomi a sedersi su di un antichissimo tappeto disteso in terra per potersi riposare. L’anziano pastore non parla il farsi, dalla sua bocca escono solamente parole nel dialetto locale del curdo sorani e non riesco a capire una sola frase; la comunicazione è complessa, ma basta uno scambio di sorrisi ed una sicura stretta di mano a far intendere la fiducia reciproca. Ancora oggi quando ripenso a quella conversazione fatta di continui scambi di gentilezze e sorrisi, mi commuovo e non poco all’idea di avere avuto la possibilità di fare intendere il piacere dell’essere stato invitato nello spazio privato di un gentilissimo pastore locale.
Dopo pochi minuti passati a guardare il villaggio dal tetto in un laconico silenzio fatto di sorrisi e sguardi, da una piccola porticina posta pochi metri più in basso esce un’anziana signora dallo splendido vestito color porpora con un “mazzo” di pane accompagnato da del formaggio pronti per essere offerti al gradito ospite; proprio in quel momento anche Filippo si avvicina al tetto sedendosi garbatamente sul tappeto. Ci godiamo l’inconsueta merenda locale cercando di esprimere la nostra completa gratitudine per la preziosa offerta divorandoci la squisita porzione di strano formaggio fatto in casa, per poi ringraziare più volte la cortese famiglia con un semplice “deso hosbe”, portandoci la mano destra sul cuore e chinando la testa in segno di immenso riconoscimento. Dopo essere saliti ancora di qualche metro ci fermiamo su di uno spiazzo roccioso poco più in alto rispetto al resto dell’abitato godendoci i suoni della vita quotidiana del villaggio. I campanacci delle mucche risuonano nell’aria coperti di tanto in tanto dal belare di un piccolo agnello e dal soffiare flebile del vento che fischia la sua presenza incuneandosi tra rocce spigolose e vicoli strettissimi.
La vita nel villaggio comincia a prendere maggior ritmo nel pomeriggio, quando molte delle famiglie escono sui piccoli tetti a godere dell’aria fresca regalata dall’ombra dei monti, mettendo in bella vista gli splendidi abiti tradizionali e riempiendo l’aria del profumo domestico mescolato alla forte fragranza di gelso che confonde i sensi sopendo la fatica.
Passano le ore e c’inoltriamo nella natura incontaminata intorno al piccolo villaggio seguendo l’andare del corso d’acqua, innamorandosi dell’incantevole panorama che si staglia fino all’orizzonte interrotto dall’abitato che non ne disturba la particolarità. Siamo seguiti da alcuni bambini che ci chiedono continuamente con timidezza di scattarli delle foto con il compiacimento delle madri che sorridono alla vista della felicità dei propri figli. Credo che non potrò mai dimenticare questi momenti passati a perdermi tra questi panorami, tra gli sguardi fieri degli anziani pastori, tra le sete dei veli femminili e tra i timidi sorrisi dei bambini entusiasti.
Il sole sta tramontando ed è l’ora di tornare indietro, i colori di Palangan si fanno sempre più lontani e le case scompaiono dietro ai pendii delle aspre montagne, un bambino mi guarda sorridendo e mi stringe la mano come un perfetto adulto pronunciando le prime parole in inglese che sento da tutto il giorno, “good bye”, arrivederci a presto Palangan. Rientriamo a Kamyaran grazie al passaggio di un discreto signore sulla cinquantina che con altre quattro persone ci farà pagare la tratta solamente ventimila Rials in un viaggio di ritorno alla città a valle stipati dentro ad una macchina abbastanza datata. Non siamo gli unici a dovere tornare a Senna (Sanandaj), così sulla via del ritorno un ragazzo della nostra età, si offre di accompagnarci verso la stazione dei bus dove eravamo arrivati in mattinata. Durante il viaggio di ritorno faccio molto più caso all’innumerevole serie di torrette e postazioni militari dell’esercito iraniano atte a controllare meglio la situazione sulle montagne curde dove ancora oggi un consistente numero di soggetti è armati ed organizzato attorno al Pjak per la liberazione del Kurdistan iraniano dall’invasione governativa e per l’unione di tutti i curdi oppressi. E’ ormai sera e Senna è piena di vita: giovani coppie che girano tenendosi mano nella mano nella più frenetica delle vie centrali, negozi aperti e famiglie che passeggiano tra musica, odore di griglie e carne in una tranquilla serata di fine primavera. Il ragazzo incontrato a Senna non ci lascia pagare né il minivan da Kamyaran né il taxi per arrivare davanti al nostro piccolo albergo, la tipica forma di ospitalità incontrata in ogni zona dell’Iran arriva da queste parti ad essere accentuata sino a livelli inimmaginabili.
Non finirò mai di stupirmi della generosità e della sincerità con il quale questo popolo si rapporta con l’ospite e con il viaggiatore, mi rimane ancora difficile non esserne colpito; sento sempre un certo imbarazzo quando l’unica cosa che si può dare in cambio è la fiducia e la stima reciproca, anche solamente il concetto mi lascia innamorare di queste forme inconsuete d’accoglienza. Arrivati al nostro umile albergo, come pattuito la sera precedente, ci attende sulla porta d’ingresso uno dei gentilissimi figli della famiglia che ci avrebbe ospitato per portarci a pernottare nella loro dimora, dove avremmo passato una delle serate tra le più toccanti dell’intero viaggio. La famiglia ci accoglie con lunghi e sentiti abbracci, baci sulla testa e con un tappeto imbandito di provviste d’ogni tipo; la madre sapendo che saremmo arrivati tardi, ci ha lasciato sul fuoco una sontuosa cena a base di riso, pollo e verdure grigliate, accompagnate da varie salsine che riusciranno a saziarci appieno. Dopo la cena arrivano in casa numerosi altri ospiti che di lì a poco apprendiamo essere i parenti più stretti della famiglia, tutti rigorosamente vestiti in abiti tradizionali e felici di fare conoscenza con due forestieri; sembra già di essere parte integrante di una famiglia da molto tempo, aiutiamo a pulire il tappeto al termine della cena ed avviamo conversazioni sulla situazione odierna del Kurdistan iraniano, toccando argomenti molto delicati e sicuramente difficili da affrontare in queste latitudini.
Sentirsi parte d’una famiglia quando si è ospiti a così tanti chilometri di distanza da casa, ti dà una sensazione strana che non lascia spazio a dubbi sulla voglia di fermarsi di più in quelle zone per entrare più a fondo nella mentalità del posto e scoprire di più sul popolo curdo. Dopo avere cantato alcune canzoni di lotta italiane e sarde, rimaniamo affascinati dalla voce di K. che assieme alla famiglia ci canta alcune delle canzoni tradizionali del luogo, spiegandoci che il governo iraniano riconosce comunque la lingua curda come lingua minoritaria del Paese. Dopo avere cantato e bevuto l’ultimo chay iraniano della serata, siamo invitati dai ragazzi delle due famiglie ad andare a fumare la qalyan in un parco sull’estremità superiore della città, l’Abidar park, dove ci incontreremo con altri due amici del posto.
Arriviamo in cima al parco dopo una buona ventina di minuti di macchina e lo spettacolo dall’alto è stupefacente; le luci della città e dei villaggi circostanti si alternano tra i pendii dei monti che sovrastano la vallata, in un quadretto di giochi di luce che non può lasciare indifferenti. Ci sediamo dentro ad una tenda apposta da un grazioso caffè su di un terreno un poco scosceso che guarda la città dall’alto e tra una chiacchiera e l’altra ci fumiamo, rilassati, la nostra gustosissima qalyan. La zona sembra essere un piccolo spazio di libertà, dove gran parte della gioventù della città si reca per passare del tempo, libera dalle grane che si potrebbero incontrare nel centro cittadino. Nell’aria si sente che tra i ragazzi e anche tra l’intera popolazione curda vi è un forte sentore di libertà e necessità di raggiungere una tanto sospirata autodeterminazione, da secoli negata da ogni stato occupante, mediante l’uso della violenza e della sopraffazione. Tra una danza tradizionale curda, piacevolmente mostrataci dagli amici presenti sull’estremità superiore del parco ed un’ulteriore chiacchierata sulle condizioni di vita del popolo curdo, è l’ora di scendere ed andare a dormire a casa della famiglia, non prima però di avere ascoltato la melodia di una delle canzoni tradizionali curde più famose, davanti ad uno dei panorami notturni più spettacolari che abbia mai osservato.
Torniamo a casa e fumiamo un’ultima sigaretta in compagnia di uno dei ragazzi; sotto un bel cielo stellato ed una leggera brezza di montagna, i pensieri vagabondano tra i monti di Palangan e le espressioni delle genti conosciute sino a quel momento in queste terre meravigliose, shaw bash mio caro Kurdistan iraniano.