La Bohème – al Teatro dell’Orologio
Il proscenio addobbato con gli oggetti scenici allineati in una minimale processione accoglie il pubblico. Proiettori invadenti, quasi protagonisti, manovrati come macchine da presa, inquadreranno i personaggi indagandoli e scoprendone, amplificandoli, i sentimenti.
Siamo all’interno di un decadente ministero della cultura. Vuoto. Vuoto di uomini e di simboli di potere, di bandiere e di scrivanie, di orpelli e di speranze. La metafora è chiara, ma non si limita solo all’ambiente. A governare il nulla un ministro che smette la giacca e veste i panni più consoni ad un carnevalesco sistema: quelli del clown. Del resto se è vero che il teatro è anche il “commentario della condotta sociale” l’idea messa in scena non poteva non essere ripagata dal suffragio di un popolo/pubblico consapevole.
Il ministro (dall’incerta conoscenza di articoli e congiuntivi), Giacomo Puccini redivivo (richiamato in vita a risollevare le sorti della nostra cultura) e Rodolfo, il protagonista della Bohème, muovono la scena. Personaggi negativi che tentano con la frode di conquistarsi l’un l’altro: il ministro irretisce un Puccini dapprima scettico, stordendolo con alcool, droghe e affascinanti politiche di crescita; questi accetta di riscrivere la sua opera secondo nuove logiche di opportunità “licenziando” per questo motivo Rodolfo; Rodolfo si oppone con tutto se stesso vinto dalla passione per gli ideali bohémien, e tenta più volte degli improbabili suicidi non tanto per la voglia di morire (non gli riuscirà infatti di uccidersi) quanto per muovere a compassione Puccini e per continuare a vivere di scena e finzione; il ministro impone, invece, anche nella nuova Bohème la presenza di Rodolfo; Puccini si oppone ma poi le droghe, sempre più pesanti, lo conducono all’accondiscendenza; Rodolfo scarica tutta la sua indignazione con rabbia furente ma alla fine si piega ed accetta…
Un affresco della politica recente con suggestioni e riferimenti costanti: la morte della cultura, la foto di un ipotetico presidente col volto di Mastro Lindo forse a significare una nota “pulizia” fatta di certe intercettazioni (concetto di pulizia che sarà un’urgenza costante del ministro), la rabbia di Rodolfo urlata con eccessi di scurrilità trova forse il suo naturale alveo in una certa politica di indignazione tradotta in violenza verbale; libri lavati e appesi ad uno stendino, ripuliti evidentemente da tanti significati che avrebbero elevato intellettualmente l’uomo e incentivato il processo di discernimento.
Una messa in scena essenziale ma di sicuro impatto, con sbuffi infernali e notti piovose. La macchina teatrale mossa dagli stessi protagonisti, nelle vesti medesime di burattini e burattinai, è la sintesi della storia dell’uomo vittima del sistema e carnefice di se stesso, ispirati da buone e universali intenzioni che precipitano poi, di colpo, sotto il peso dello sfrenato individualismo e della rincorsa verso il successo personale.
Scroscianti applausi per l’irriverente rappresentazione dell’uomo, non solo di oggi ma di sempre, un uomo sempre meno popolo e sempre più miseramente solo.
La Bohème – di Gabriele Paolocà.
Diretto da Michele Altamura, Nicola Borghesi, Riccardo Lanzarone, Gabriele Paolocà
Interpretato da Michele Altamura, Nicola Borghesi e Gabriele Paolocà
Spettacolo ancora in replica stasera alle 21,00 e domani alle 18,00 al teatro dell’Orologio, via de Filippini 17/a – Roma