AAA Cercasi vip con problemi di salute mentale

Sono in giro per Barcellona quando leggo su un cartellone le parole “Es busca famos”. E, affianco, volti senza occhi naso e bocca. In basso a destra un nome, “Obertament“: aiutandomi con le mie conoscenze di francese e spagnolo capisco che si tratta di un’organizzazione catalana che propone una campagna di ricerca di volti noti che vogliano fare una sorta di coming out in quanto affetti – nel presente o nel passato – da qualche disturbo mentale.

Questo, ovviamente, sottintendendo l’importanza di un portavoce celebre, quindi della fama.

Mi colpisce subito, questa campagna che parte ancora prima di aver trovato un testimonial che la lanci: questi volti senza identità rimangono impressi, incuriosiscono, chiamano alla lettura della didascalia in basso. Subito penso che, di fatto, questa campagna è già completa, perché sono quasi certa che un vip barcellonese affetto da malattia mentale non verrebbe mai a conoscenza della campagna nella metro ma quasi sicuramente attraverso altri canali, e mi chiedo quanti di costoro si lancerebbero in una simile avventura, lasciando in buona sostanza intendere, con un pizzico di vanagloria, di essere famosi.

E poi rifletto sull’importanza di avere un portavoce che confessi ad alta voce i suoi punti deboli, e sull’importanza del gossip che altro non è se non una curiosità portata verso il dettaglio kitch ed il pettegolezzo. Di fatto questa campagna basata sull’importanza di un volto famoso ha un suo perché: io mi son sentita spronata a parlare di disturbi alimentari dopo aver saputo che Amélie Nothomb, autrice che stimo, lo ha fatto nei suoi libri. Mi ha fatto piacere e dato forza il coraggioso coming out di Wenworth Miller detto in faccia ai russi, e poi quello di Ellen Page.

Non che siano fattore unico di cambiamento, non che senza i vip non valiamo niente. E poi, considerare Amélie Nothomb una vip è un’esagerazione. Però sentire la confessione di umanità di una persona che sta fuori, in un mondo che sembra così distante, e che – per quel che se ne sa e si vede – si stima, fa bene. Ci si sente meno soli, si fa comunità sul piano umano, si vede che una malattia, un disturbo mentale, un certo orientamento sessuale non fanno da blocco a niente, che la vita è oltre, che il valore della persona sta in mille altre cose, molto più in profondità.

E allora viva Obertament e la sua ricerca di volti, viva chi si candiderà, viva la Catalogna che, in quella lingua tutta particolare, nel suo piccolo lotta per non discriminare secondo il livello di salute mentale.