Almeno tu nell’universo
Lo cantano tutti: “Sai la gente è strana, prima si odia e poi…” pure! E se lo cantano tutti è perché lo dicono tutti. E se lo dicono tutti è perché lo pensano tutti. E se lo pensano tutti un barlume di verità di certo c’è. E se c’è verità vuol dire che il tutto corrisponde ad una chiara realtà oggettiva. Ergo: la stranezza è la componente condivisa dell’umanità intera.
Però bisogna dire, a onor del vero, che ci sono quelli che sono un po’ più strani degli strani modello base. Cioè ci sono gli strani standard e gli strani con opscional, quelli con licenza superiore, quasi dei guru in questa materia.
Tipo quelli: “mi dà cortesemente cento grammi di bresaola equina?” “No, mi spiace, noi vendiamo solo carne di cavallo, c’è scritto anche fuori!”
Ecco: la gente strana standard, e con la puzza sotto al naso, penserebbe: “perché la carne di cavallo non è equina?!” Ma la verità è che non è colpa del macellaio se gli è sfuggito il lemma “equino” quel giorno in quarta elementare – può succedere! Piuttosto è colpa di quello un po’ più strano dello strano standard, quello “almeno tu nell’universo“, con licenza superiore, che tenta di strafare e che entra per cento grammi di bresaola equina… Ma dico: se fuori c’è scritto “solo carne di cavallo” cosa precisi equina? È forse una mossa per confondere il malcapitato affettatore, che mentre pensa al significato di equino si distrae e ti carica tre chili di bresaola esentasse? Hai forse studiato strategia bellica insieme ai funzionari della Farnesina?
Diverso è se il macellaio invece di confondersi su “equino” ti chiede: “Mi scusi ha detto cento grammi?”
E tu, da gran simpaticone quale sei, replichi: “No, guardi, faccia meglio un etto!”
E lui a sua volta risponde: “Ah! Avevo capito male”… allora vuol dire che lo strano non sei tu e che le assenze in quarta elementare sono state talmente tante che è doveroso a quel punto confonderlo e portarti a casa un po’ di bresaola in più.
Che poi i locali pubblici sono il ricettacolo sia della gente strana standard che della gente strana con licenza superiore (che, si vocifera, faccia il raduno dei tesserati davanti ad ogni tavolo gli venga a tiro).
Prendiamo per esempio il luogo più infestato di stranezze per antonomasia: il bancone del bar.
Accadde uno sventurato giorno che il mio cellulare precipitò inopinatamente nella tazza da cui bevevo la mia immancabile e benaugurante colazione. Sua maestà l’ovvietà dettò un principio chiaro e incontrovertibile: la giornata volge inesorabilmente alla tragedia e senza possibilità di redenzione; telefono distrutto e caffellatte contaminato dalle frasi ingiuriose che la sera prima mi ero scambiata col direttore di questo megasin e che inevitabilmente vi erano precipitate dentro (questo perché, com’è noto ai più, uozzap risulta solubile in cappuccino scuro con latte scremato!).
Ebbene: procedo al ripescaggio del cellulare dall’abisso cappuccinesco, senza fretta, con una lucida calma omicida, con il ràllenti che sottolinea l’inferno che sta per prendere forma e la musichetta in sottofondo de “L’uomo da sei milioni di dollari” (ricordate “Stiv Ostin astronauta, un uomo vivo per miracolo“? Che quando compiva gesti soprannaturali lo faceva con la colonna sonora fatta da tanti piccoli tintinnii che sembravano lo scricchiolio della cassa della nonna aperta con fatica a causa delle tarme che coi denti ne trattenevano il coperchio?… – caro lettore se non l’hai capita è perché non hai vissuto gli anni ottanta e questa è la giusta punizione che ti meriti per essere così dannatamente giovane).
Dicevo, recupero il cellulare dai fondali della perduta colazione e, con un’espressione tra il lobotomizzato e Barbara D’Urso, lo guardo immobile e sprezzante (mentre i verdi robotini android cercano, indaffarati, chi la salvezza facendo la respirazione bocca a transistor, chi di ripulire gli ingranaggi in via di precoce ossidazione da caffeina, chi un pezzo di cornetto da accompagnare alla sonora bevuta) e lo lascio sospeso a gocciolare nella tazza per prendere tempo e pensare alla mossa successiva, ovvero: lanciarlo contro la slot mascin nella speranza che la giornata così come si era guastata si riaggiustasse, o con nonscialans, e senza dare troppo nell’occhio, dargli un morso facendo credere agli avventori che lo stavo semplicemente pucciando dentro il latte come sono solita fare al risveglio d’un qualsiasi giorno feriale!
Ma mentre sono lì con lo sguardo vitreo a guardar le gocce scendere, come fossero gocce di sangue stillante da quella che fu la mia migliore segretaria, la gente strana standard, che giammai infierirebbe su un dramma così efferato, con un certo coraggio – devo riconoscerlo! – prende la parola: “Ma non dirmi che lì dentro avevi tutti i numeri di telefono, i contatti di una vita, gli appuntamenti, i calendari, le scadenze, le sveglie, gli anniversari e gli sms del tuo fidanzato?!”
“Ma no! Ma quando mai… Questo lo usavo come cella-frigo. Per fortuna c’era solo una busta di latte che nell’urto, come vedi, si è rotta. Ma adesso asciugo tutto, gli cambio la destinazione d’uso, lo accatasto e ne faccio una camera a gas. Ti interessa?”
La gente strana con licenza superiore invece, essendo appunto superiore, non si limita a credere che quello sia un normale cellulare con dentro tutta la tua organizzazione passata e futura, ma nella lungimiranza che gli è usuale si spinge oltre: “Uau! Dove l’hai comprato? Che marca è? Io l’ho sempre detto per battuta ma alla fine la tecnologia ci è arrivata! Caspita questi cellulari oggi fanno proprio di tutto, fanno anche il caffè!”.
Il mio barista di fiducia, uomo probo e di gran garbo, ancorché illuminato, conoscendo la mia calma e il mio aplomb, e soprattutto vedendo nelle vene del mio collo un mini-incredibile-Ulc intento a gonfiarle con la pompa dei canotti da spiaggia, ben pensò di correre ai ripari: “Aò, ma che davero? Nel locale mio er caffè ‘o faccio solo io! Si te ‘nteressa a camera a gasse poi parlà ca’ dottoresa qua presente, ma me sa che ‘nte conviene. Scialla va! È mejo! Stammattina butta proprio male, e si je rode me sa che te butta pure quarche dente! Frate’ allontanate dar bancone, t’ ‘o dico cor core in mano, e si t’ ‘o dico cor core in mano preoccupate perché er core po esse er tuo!”.
Tutta la grazia che trasudava da questa elegante e confidenziale intimidazione rese docile e ubbidiente lo strano tipo con licenza superiore. Tutto quello che invece trasudava dal villoso torso del gentlmen di professione barman era sempre molto incisivo, ma non tanto nel senso dei concetti espressi quanto nel senso dell’olezzo profuso. Perché probabilmente questo gentile barista dalla raffinata poesia e sponsor ufficiale della lana merinos, vedendo scendere il caffè dal cellulare, e credendo quindi che l’era della sua attività si stesse per concludere più o meno quindici anni prima dell’estinzione del mutuo, deve aver inconsciamente mandato segnali a raffica alle ghiandole sudoripare le quali, obbedienti, hanno iniziato a spurgare lacrime tanto copiose e disperate da far aumentare vertiginosamente il tasso di umidità (nonostante i due gradi di quel grigio mattino) facendomi sentire molto prossimo sia il Ferragosto che la miriade di fragranze che di solito ti inebriano e rapprendono le vie respiratorie quando appunto è Ferragosto e i negozi di Neutro Roberz, Malizia profumo d’intesa, Felce azzurra, Dav, Nivea, Intesa pur om, Borotalco altolà al sudore, Infasil e Licia persona sono inesorabilmente chiusi.